Vendere le ferie L’idea è giusta

Con quel suo solito piglio, reso frenetico per quant’è convinto, il presidente Sarkozy in un’intervista all’Eliseo ha riconosciuto il difetto di potere d’acquisto dei lavoratori. E però gli ha pure applicato lo slogan della sua campagna elettorale, «lavorare di più per guadagnare di più». Per la qual cosa, prontissimo nella sua replica a una domanda, ha proposto che le imprese private siano esonerate dalle 35 ore di lavoro settimanali «in cambio di aumenti salariali». E per di più pensa alla possibilità di monetizzare tutti i giorni di ferie supplementari generati dalla legge che con troppo entusiasmo nel ’98 ridusse l’orario settimanale di lavoro. Aggiungendo che si potrà, volendolo, lavorare anche la domenica, con le ore di lavoro pagate però il doppio. Non c’è del resto da stupirsene. Quanto ha spiegato in televisione ai suoi intervistatori nei saloni dorati dell’Eliseo non era improvvisazione. Sarkozy prosegue lo smantellamento della legge socialista sulle 35 ore e in cambio infila nelle buste degli stipendi dei lavoratori qualche soldo vero. E appunto già nei suoi primi cento giorni egli aveva cancellato l’inasprimento per le imprese della fiscalità per le ore lavorate in più.
Insomma è un sistematico ritorno al buon senso, la fine di quella mania che aveva eccitato pure i già, del loro molto confusi, dottrinari di casa nostra. Le 35 ore infatti hanno sì in questi anni prodotto il maggior aumento del tempo libero in Francia dal 1936: tra 11 e 16 giorni di vacanza in più l’anno. E i grafici degli acquisti di camper e di vacanze brevi si erano certamente all’inizio abbastanza impennati. Ma per inevitabile risposta le imprese avevano pure tagliato soste e aumentato la flessibilità nelle ore rimaste. Col risultato che in una ricerca francese di qualche anno fa il 63% degli intervistati si era detto stressato dalle 35 ore, e il 67% lamentava d’avere troppo da fare in poco tempo. Come se non bastasse, inoltre, le imprese avevano usato l’orario accorciato per imporre una notevole moderazione salariale. Il contrario di quanto invece le sinistre volevano ottenere da questa idea confusa. Trovata mal certa scritta per la prima volta da quel pazzoide di Trockij nel suo programma della Quarta Internazionale, e chiamata allora scala mobile delle ore di lavoro.
Non può dirsi quindi che Sarkozy, nella sua frenesia di fare, abbia tagliato le ferie, si sia venduto per esempio le vacanze di Natale di chi lavora, in cambio di più soldi. Semplicemente ha ridotto le giornate aggiunte di ferie inutili che non giovavano alle imprese ma nemmeno ai salari. E con la sua proposta il di più di lavoro vuole poi farlo pagare meglio. L’accordo della Siemens coi suoi lavoratori era stato anni fa in Germania ben peggiore. S’era allora ottenuto un allungamento della settimana di lavoro da 35 a 40 ore, senza però alcuna variazione del salario. L’azienda si era soltanto impegnata a non spostare all’estero alcune parti della sua produzione. Invece la Francia almeno asseconda un trend ormai inevitabile, e però fa spartire all’impresa almeno l’aumento del prodotto per lavoratore. Ed è peraltro la produttività per lavoratore, ovvero il numero di ore lavorate, il difetto che più nuoce alle imprese europee. La produttività oraria è buona, se non migliore ad esempio di quella americana. L’aumento dell’orario di lavoro va detto conseguenza inevitabile dell’apertura dei mercati.

Ma almeno il Sarkozy, che sempre più vorremmo presidente non solo della Francia ma pure dell’Italia, lega la tendenza a concreti aumenti salariali. Lo stesso aumento del potere d’acquisto legato alla produttività che gioverebbe anche da noi, non ci fossero i comunisti al governo.

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