Venezia, se il Risorgimento è come la "Meglio gioventù"

Presentato ieri alla Mostra del cinema il film che racconta l’unificazione d’Italia senza abbandonarsi alla retorica e all’ideologia. Ma il regista infila molti rimandi al presente: "Anche oggi si trova traccia della tentazione autoritaria"

Venezia, se il Risorgimento 
è come la "Meglio gioventù"

nostro inviato a Venezia

È un Risorgimento alternativo, eterodosso, utopistico quello che è esploso ieri nelle immagini e nella narrazione di Noi credevamo, terzo film italiano in concorso alla Mostra di Venezia diretto da Mario Martone. Un’opera corale e potente che si avvale di un cast di qualità e di una lunga ricerca storica e letteraria, prodotto dalla Palomar (in collaborazione con Rai Cinema e Rai Fiction) con il contributo del ministero dei Beni culturali e il sostegno del Comitato Italia 150. Uno di quei film chiesti ripetutamente dall'allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e per la proiezione del quale si sperava nell'arrivo del ministro Bondi. «Ma siamo in contatto continuo con il ministero», ha sottolineato il presidente della Biennale Paolo Baratta al pranzo con la stampa di metà Mostra.

Narrato attraverso quattro lunghi capitoli (quasi tre ore e mezzo di film) che hanno per protagonisti tre giovani cospiratori del Sud affiliati alla Giovine Italia, Noi credevamo sembra quasi una Meglio gioventù dell'Ottocento. «Ma non è un film ideologico - ha dovuto precisare Martone -. Gran parte delle parole pronunciate dai protagonisti sono attinte da scritti, lettere e testi di patrioti, Mazzini compreso». Ma proprio il Mazzini tratteggiato come un terrorista, con la consueta maestrìa da Toni Servillo, e la cupezza di Domenico, il repubblicano interpretato da Luigi Lo Cascio, conferiscono a tutta l'opera un'atmosfera quasi dostoevskiana. «Marx ed Engels vedevano in Mazzini un terrorista di cui non fidarsi, soprattutto per il suo integralismo religioso. I suoi proclami che partivano da Londra finivano per creare dei martiri», ha chiosato Martone. E anche se il regista dice di non voler strizzare l'occhio all'attualità il meccanismo di identificazione con l'oggi è immediato. Anche perché Martone ha scelto la via del «discostamento» dall'ufficialità confezionando sì un film di qualità, ma per dire qualcosa d'altro e qualcosa in più. Insomma, per prendersi delle licenze e criticare l'Italia di oggi.

Per la sceneggiatura «abbiamo evitato sia la lettura che racconta il Risorgimento come una serie di faide tra Cavour, Mazzini e Garibaldi, sia la retorica che accredita una popolazione tutta dedita al re e al Papa», ha specificato Giancarlo De Cataldo. Così i rimandi al presente sono più facili. Come quando, durante una commedia che ridicolizza il re, una parte della platea insorge mentre i patrioti, aizzati da Cristina di Belgiojoso (Francesca Inaudi), protestano «libertà per l'arte» e «lasciateli recitare». Oppure quando il personaggio di Lo Cascio rivendica maggior democrazia e libertà di parola persino tra i Mille garibaldini. Lo stesso «discostamento» si nota nella scenografia quando nel carcere di massima sicurezza di Saluzzo - «dove sono stati internati dei brigatisti» - vengono ghigliottinati Orsini e un altro dei cospiratori (Valerio Binasco). Oppure quando su una spiaggia del Cilento si vede una costruzione di cemento armato a simboleggiare «quanto male facciamo al nostro paesaggio».

Alla fine, il grande desiderio dei tre giovani resta insoddisfatto e toccherà sempre a Domenico condensare il senso della delusione quando vedrà l'ascesa di Francesco Crispi (Luca Zingaretti) a costruire «una società gretta, superba e assassina» con le parole finali del romanzo di Anna Banti che ha dato il titolo al film. «In quel noi credevamo», sottolinea Lo Cascio «c'è tutto il rammarico di un soggetto e di un progetto che non si sono compiuti, di una realtà che è rimasta distante dagli ideali».

Anche qui ci pensa Martone a trovare le analogie con il presente: «Quel tipo di società si è riproposta durante il fascismo dove l'autoritarismo ha vinto sulla democrazia. E anche oggi tocca trovare traccia di quella tentazione autoritaria».
Il piatto è servito: un film definito «non ideologico» sul Risorgimento per attaccare la politica di oggi.

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