Chiede il collega che ti vede immerso nella lettura di un tomone di oltre 700 pagine: «Che cos'è?». Gli mostri la copertina: «Ah... un grandissimo!», commenta riferendosi al soggetto del libro, non al suo autore che, come te, non conosce. Dopo due-tre secondi di riflessione, aggiunge: «Però chi ha scritto molto non può aver vissuto molto...». Ha ragione sulla quantità di vita (il tomone è infatti una biografia, e il biografato morì piuttosto giovane), ma non è a quella che sta pensando. Però ha torto a proposito della qualità di quella vita che nel caso in oggetto procede di pari passo con la varietà e con l'intensità. Il collega ha dunque ragione perché Honoré de Balzac visse 51 anni e spiccioli (e furono spiccioli di agonia), ma ha torto perché proprio di Balzac si tratta, che ovviamente il collega ben conosce. Eppure il collega, forse senza volerlo, ti dà, nel senso che ti riconsegna, la chiave della tua lettura. Indirettamente ti dice: il più affascinante romanzo di Balzac è stata la sua vita.
Honoré, di fatto, firmò un solo libro, cui a un certo punto, ispirato da una discussione sulla Commedia di Dante, diede il titolo La commedia umana. Però questo libro è composto dalla bellezza di 137 libri, comprendendo le raccolte di racconti, i saggi, gli studi di scienze umane (ed escludendo i volumi, poi ricusati, della prima giovinezza, firmati con gli pseudonimi Horace de Saint-Aubin, Lord R'hoone e Viellerglé - e naturalmente al netto degli innumerevoli articoli destinati a varie riviste). Ma se dalla sua esistenza sottraiamo le ore, prevalentemente notturne, che egli passò alla scrivania, ci resta in mano una miriade di fogli sparsi Al vento del boulevard (questo è il titolo del tomone di cui sopra, scritto da Charles Gorham - prima edizione italiana nel 1960 dalla milanese Martello, ora riproposto da Luni Editrice, euro 28, traduzione di Olga Ceretti Borsini). Su quei fogli non c'è il suo inchiostro, ma il suo sudore, le sue scommesse, le sue illusioni (perdute), i suoi progetti irrealizzabili, i suoi amori, il suo cuore fuso come un motore sottoposto a un viaggio senza soste, infine il suo sangue. Perché Honoré è stato o ha tentato di essere: editore (di se stesso), ministro, contadino, allevatore di mucche, commerciante di letame (anche umano), coltivatore di ananas, sindacalista, tipografo, immobiliarista, pubblicitario, finanziere, autore teatrale, autore pornografico, industriale minerario, influencer, opinion leader... Per fare o tentare di fare tutto ciò occorre avere un'alta considerazione delle proprie facoltà, un'irrefrenabile fantasia e anche una naturale propensione per le bugie, da spargere come semi per terra per poi aspettare di vedere che cosa ne nascerà.
Nacque a Tours il 20 maggio 1799 e il giorno dopo suo padre lo battezzò proprio con una bugia, visto che il neonato non poteva ancora parlare né scrivere. Infatti il segretario comunale lo registrò come «Honoré Balzac», laddove il suo papà, brillante 53enne, Generale di Commissariato presso la 22ª divisione di fanteria dell'esercito francese, sposato con la bellissima 21enne Anne Charlotte Laure Sallambier, si chiamava Bernard François Balssa. Ma «Balzac» gli suonava meglio, poiché alludeva a Jean-Louis Guez de Balzac, epistolografo e letterato seicentesco accolto a corte sotto la protezione di Richelieu, nonché membro dell'Académie française dalla sua fondazione, nel 1635. Quanto all'alta considerazione delle proprie facoltà, Honoré la mostrò già a 11 anni, quando, allievo del collegio di Vendôme, scrisse un Trattato sulla volontà umana. Peccato che padre Haugoult, non sopportando l'indisciplina e l'aria strafottente del ragazzino, abbia gettato l'operina in una stufetta a carbonella senza degnarla di uno sguardo: è probabile che contenesse già un po' di commedia umana.
E la fantasia, poi. La fantasia per Honoré era tutto, era la ribellione, era il modo per correggere gli errori della vita e per imporsi a essa, come fosse una donna da conquistare. Cominciando dall'inizio, da maman. La madre lo odiava, lo disprezzava, lo riteneva un buono a nulla? Lui rispose prendendosi come prima amante una sua vicina di casa e coetanea, madame de Berny. La Storia si vendicò senza pietà della (secondo lui sublime) arroganza di Napoleone? Lui volle diventare il Napoleone delle lettere. I creditori lo inseguivano sempre e ovunque dimostrando di non aver fiducia in lui? Lui per tutta risposta accumulava altri debiti. Lo Stato lo braccava in quanto renitente alla leva? Lui sfruttava un bizzarro regolamento secondo cui l'ufficiale incaricato di arrestarlo non poteva torcergli un capello dal tramonto all'alba, e usciva di casa all'alba per tornarvi al tramonto. Il dottor Nacquart, il caro dottor Nacquart che lo aveva fatto nascere, gli prescriveva riposo e dieta per non sollecitare troppo il suo cuore ballerino? Lui saltava da un'alcova all'altra e si abbuffava come un maiale al trògolo. L'unica femmina che, fra una coccola e una sfuriata, lo teneva legato a sé come un cagnolino al guinzaglio, la polacca Ewelina Hanska, sul finire gli voltò le incantevoli terga dopo essere stata nominata sua erede universale? Lui faceva avanti indietro da Parigi alla Volinia in carrozza come fosse una passeggiata sugli Champs-Élysées, correndo verso la tomba.
Salottiero ma ruspante; nostalgico dell'Ancien Régime ma fieramente borghese; spirito da artigiano con modi e mode da maneggione dell'opinione pubblica; solitario in qualsiasi tipo di compagnia, fosse il bel mondo del Faubourg Saint-Germain o la folla rivoluzionaria del '48, Balzac si alimentava, bulimicamente, di contraddizioni, ingurgitandole e digerendole come ostriche e champagne.
Forse per questo motivo, quando scriveva, indossando la tunica da carmelitano e assumendo soltanto un tozzo di pane e litri di fortissimo caffè, le sue tempeste interiori si placavano e diventavano venticelli primaverili nel cielo terso della sua prosa.
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