La Nona di Beethoven a Capodanno (e dintorni) con la Verdi, ormai è un vero e proprio must. E così anche Milano ha accolto e rilanciato la tradizione delle metropoli europee, che festeggiano il nuovo anno con un grande concerto. Dal 1999, nellAuditorium di largo Mahler, risuonano per il brindisi di fine e inizio anno le note dolci, gioiose e imperiose a un tempo della Sinfonia per eccellenza, dove la grande orchestra, accompagnata dal coro sinfonico, esprime tutta la sua potenza e ricchezza di suoni. Certo, il capolavoro del genio tedesco non è affare per tutti, ma quando ci sono le condizioni giuste per eseguirlo, beh, allora ascoltarla diventa davvero un piacere totale per i sensi, per la mente e per lanima.
E Nona di nuovo sia, dunque. La proposta dellOrchestra e del Coro Verdi si spalma su quattro giorni: si comincia domani alle ore 20.30, per proseguire il 31 alle 20, e poi ancora l1 e 2 gennaio 2010 alle 16 (info 02-83389401/2/3, laverdi.org). Sul podio il britannico di origine caraibica Wayne Marshall, direttore principale ospite della Verdi e musicista tra i più versatili ed estrosi in circolazione, grazie anche alle sue performance alla tastiera dellorgano e del pianoforte, mentre il coro sinfonico è affidato alla guida di Erina Gambarini. A completare il cast, il soprano finlandese Helena Juntunen, il mezzosoprano spagnolo Maria Josè Montiel, il tenore olandese Kor-Jan Dusseljee, infine il basso inglese Stephen Gadd.
E ora qualche doverosa nota sul programma. La Sinfonia n. 9 di Beethoven per soli coro e orchestra è senza dubbio unopera che si ascolta e riascolta come fosse la prima volta. Certo, per la complessità dellelaborato e per la «massa critica» degli esecutori coinvolti, tra organico orchestrale e corale (senza contare i solisti), non è facile né usuale poterla sentire dal vivo. Un motivo in più per non lasciarsi sfuggire loccasione offerta in Auditorium. La Nona è lultima sinfonia pubblicata da Beethoven; fu terminata nel 1824, tre anni prima della morte del compositore, quando ormai era completamente sordo. Se il genio di Bonn scrisse le prime otto sinfonie nel giro di circa 12 anni, tra il 1800 e il 1812, dovettero trascorrere ben dieci anni per arrivare alla stesura di quella che certamente è una delle opere più note dellintero patrimonio della musica classica. Il motivo, evidentemente, cera.
Con la «Nona», Beethoven volta pagina, impostando un linguaggio musicale «rivoluzionario». A cominciare dalla struttura formale dellopera che, nella sua complessa articolazione, vede linserimento - mai visto prima - della voce dei solisti e del coro. Così, in quel quarto movimento che ha fatto dellopera un monumento alla musica totale, sulle parole dellode schilleriana An die Freude, Alla Gioia, coro e solisti confluiscono insieme con lorchestra, nel finale, in una grande fuga, momento culminante della titanica sinfonia.
E, nonostante il destino infausto, proprio lInno alla Gioia (diventato in tempi più recenti linno ufficiale dellUnione Europea) delinea e amplifica il messaggio ideale di Beethoven: la Gioia appunto, illuministicamente sentita quale impeto vitale, impegno diretto e ottimistico a superare gli egoismi verso uno slancio di universale fratellanza tra gli uomini.
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