La Verdi va a pieno regime con Mozart e Beethoven

Dopo le eccezioni festaiole che punteggiano i cartelloni di chicche non sempre azzeccate (non è il caso della Verdi, che tra formazione standard e neonata barocca ha saputo proporre partiture eccelse come la «Nona» di Beethoven, il «Messiah» di Haendel e, proprio ieri, le sei cantate dell’«Oratorio di Natale» di Bach, l’ultima delle quali dedicata proprio all’Epifania), la «classica» riprende con le programmazioni di stagione. E, tanto per non smentirsi e mantenere la rotazione del motore ai massimi regimi, l’ensemble sinfonica dell’Auditorium Cariplo gioca due assi mica male. L’abituale «trittico» di stasera (ore 20.30), domani (ore 20) e domenica (ore 16) mette sul tavolo infatti due capolavori a tutto tondo, vale a dire la Sinfonia n. 41 in Do maggiore K. 551 Jupiter di sua eccellenza Wolfgang Amadeus Mozart e la Sinfonia n. 6 in Fa maggiore op. 68 Pastorale di sua maestà Ludwig van Beethoven. E scusate se è poco! Concerto dedicato ai grandi classici della storia della musica colta, dunque, lasciando ad altre date le ormai consuete incursioni nella «ricerca». Sul podio della sala di largo Mahler, il maestro Ivor Bolton. Inglese di Blackrod, classe 1958, torna a dirigere la Verdi con i galloni di direttore principale di una istituzione musicale qual è la Mozarteum Orchester di Salisburgo, che guida dal 2004, dopo essere stato direttore musicale della English Touring Opera nel 1991/92, della Glyndebourne Touring Opera dal 1992 al ’97, direttore principale della Scottish Chamber Orchestra dal 1994 al ’96 e direttore musicale del Lufthansa Festival di musica barocca e dei St. James’s Baroque Players di Londra. E veniamo alle consuete note sulle partiture. La Sinfonia Jupiter costituisce l’estremo capolavoro del genio salisburghese: terminata nell’agosto 1788, tre anni prima della morte avvenuta a Vienna il 5 dicembre 1791, rappresenta il ritorno del compositore al pieno organico orchestrale, dopo la più introspettiva Sinfonia n. 40, finita soltanto due settimane prima, ora con una evidente tensione verso il futuro. Il nome, a quanto pare, è farina del sacco dell’impresario inglese Salomon, che in questo modo volle sottolineare il carattere grandioso e magnifico dell’opera. Numero (quattro) e successione dei tempi ricalcano la tradizionale scansione settecentesca: Allegro vivace, Andante cantabile, Minuetto, Allegro Molto. Venendo a Beethoven, parlare della Sinfonia Pastorale è come parlare della Ferrari in giro per il mondo: male che vada, la conoscono tutti. E tutti, quando passa, si girano a guardarla. Iniziata nel 1807, venne conclusa nel maggio 1808, giusto vent’anni dopo la Jupiter. Dedicata la principe Lobkowitz, debuttò lo stesso anno a Vienna, diretta dal compositore.

Carattere intrinseco dell’opera è l’esplicito fine descrittivo, l’evocazione della vita campestre (cui fanno riferimento i titoli dei cinque movimenti), anche se l’autore avverte in partitura: «espressioni di sentimenti più che rappresentazioni».

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