«Tutti credono di sapere cos'è una costituzione. Si tratta di un concetto con cui ogni individuo che vive in una democrazia liberale di tipo occidentale si trova ad avere a che fare... Ma questo non vuol dire che il concetto sia generalmente adoperato a proposito, o che le sue varie possibili accezioni siano sempre pienamente comprese».
Inizia così il nuovo saggio Libertà o potere. Ascesa e declino delle costituzioni (Liberilibri, pagg. 122, euro 15) di Eugenio Capozzi. Capozzi è professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. È anche condirettore della rivista Ventunesimo Secolo e da sempre il tema del rapporto tra costituzionalismo e potere gli è caro. Lo abbiamo interpellato su pregi e limiti delle «leggi fondamentali» che sono il vanto delle democrazie occidentali.
Professor Capozzi, perché si parla delle costituzioni come baluardo di libertà ma spesso se ne fraintende il senso?
«Si è consolidata nella cultura politica occidentale un'idea mitologica della costituzione... Una sorta di supermarket di diritti ampliabile all'infinito con un richiamo a una società ideale e perfetta che un potere illuminato dovrebbe realizzare per rendere felici gli individui. Sono nozioni deformate, che risentono di una mentalità che pone lo Stato al centro della politica».
Esistono però costituzioni nate per sancire, mettere per iscritto, diritti preesistenti. Quando il meccanismo è cambiato?
«Questa mentalità si è instaurata con la rottura provocata dalla Rivoluzione francese e poi, a cascata, con lo sviluppo delle ideologie nei secoli successivi. E ci rende quasi incapaci di comprendere il senso effettivo del costituzionalismo. Che in realtà è stato un tenace tentativo di difendere i diritti e le libertà consolidati dagli eccessi del potere. E questo dovrebbe essere il senso delle costituzioni attuali ma, spesso, ce ne dimentichiamo».
Perché privilegiamo altri significati delle costituzioni?
«C'è una concezione strettamente positivistica, che vede in essa esclusivamente la legge suprema dello Stato proclamata da un'assemblea costituente. Intesa in questo senso, la costituzione non è necessariamente un presidio di libertà. Il secondo significato è ancora meno tutelante: assimila la costituzione alla struttura di un qualsiasi regime politico. Può essere un approccio valido per uno studio storiografico o politologico ma non è garanzia di libertà. Allora a me interessano soprattutto le radici storiche del costituzionalismo come filosofia e prassi della libertà, soprattutto imperniate sulla riflessione antica e medievale sugli eccessi del potere. Questo è il costituzionalismo che trovo più interessante. Quello che ci consente di domare la belva del potere».
Ci sono costituzioni, come quella americana, che mantengono maggiormente questa spinta dal basso.
«Per citare Madame De Staël, la libertà è antica e il dispotismo è moderno. L'avvento dello Stato moderno cambia la percezione dei diritti. Esistevano quasi ovunque in Europa costituzioni modellate sulle consuetudini e su una gerarchia giuridica sedimentata attraverso il medioevo... Poi la crisi della res publica cristiana, le lotte di religione, la competizione tra Stati hanno fatto sì che lo Stato assurgesse ad un ruolo di arbitro assoluto. Questa pretesa era in buona parte un'impostura, perché i diritti soggettivi esistevano prima dello Stato... Anzi, in questo contesto lo Stato deve essere tenuto a bada... Il costituzionalismo serve a questo. E le armi fondamentali sono i diritti di natura della tradizione del giusnaturalismo e del contrattualismo e appunto le costituzioni scritte che si sono sviluppate in seguito».
Sono le costituzioni nate dalla consuetudine quelle che meglio tutelano i diritti?
«In effetti, le costituzioni che hanno svolto un ruolo di salvaguardia e difesa della libertà, come quella degli Usa, non si presentano come qualcosa che fonda un potere sovrano ma, sempre, come la versione scritta di un patrimonio che si è trasmesso attraverso i secoli in forma consuetudinaria. Sono una forma abbreviata del costituzionalismo britannico sedimentato nei secoli precedenti».
La nostra Costituzione è un po' più fragile, checché se ne dica, nella difesa dei diritti degli individui rispetto ad altre costituzioni, come quella sudafricana, di matrice anglosassone...
«Il modo in cui viene idealizzata la Costituzione italiana è interessante... Per comprenderne la logica, come per altre costituzioni, bisogna risalire al 1789 e alla rivoluzione francese. Il costituzionalismo d'Oltralpe, diversamente da quello nord-americano, voleva fare tabula rasa del patrimonio istituzionale tradizionale e garantire i diritti a partire dalla sovranità dello Stato e questo creava un cortocircuito: dove le garanzie diventano più labili. Il costituzionalismo continentale ne risente in misura decisiva, tende a costruire uno spazio di diritti attuabili solo dallo Stato, è un modello accentrato. Questo dà grande spazio alle ideologie... La Costituzione così rischia sempre di essere interpretata come un manifesto politico. La nostra Carta repubblicana risente di influssi della cultura liberale, come quelli portati da Einaudi, ma viene concepita da altri anche come un manifesto ideologico. Come disse Calamandrei, a posteriori, venne interpretata dal Partito comunista come la promessa di una rivoluzione futura... Su questa base il Pci e i suoi eredi l'hanno santificata come sanzione della propria legittimazione democratica, nonostante l'ideologia antiliberale su cui il comunismo italiano si era fondato».
Le nostre costituzioni sono imperfette. Però un bel pezzo di mondo democratico non è e, se consideriamo i diritti universali, esportarli resta un tema aperto...
«La realtà degli individui e delle società umane si costruisce nell'ordine del tempo. Il radicamento di civiltà e la continuità storica delle istituzioni sono il più efficace antidoto alla disgregazione operata dall'ideologia.
Più che esportare qualcosa, quello che può essere efficace è l'esempio di società che restano fedeli alle proprie radici: nel caso dell'Occidente, all'umanesimo ebraico-cristiano e alle istituzioni in cui nei secoli esso si è tradotto».
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