La verità sui manifesti anti-toghe: "Ho messo io i cartelli giudici-Br"

L’autore dei cartelloni anti-toghe affissi a Milano è un ex sindaco Dc travolto da un’inchiesta e poi assolto: "Una provocazione, nessuna offesa. Per colpa dei magistrati sono stato in carcere da innocente e ho perso tutto". E' stato in cella 42 giorni e poi cinque anni e mezzo per la sentenza di proscioglimento: risarcito con 5mila euro, nemmeno le spese legali

La verità sui manifesti anti-toghe: 
"Ho messo io i cartelli giudici-Br"

Milano E finalmente ecco trovato il colpevole: Roberto Lassini, professione avvocato, chi l’avrebbe detto.
«Quei manifesti sulla giustizia non volevano essere offensivi verso i magistrati, né mancare di rispetto alle istituzioni. Sono stati una provocazione».

«Fuori le Br dalle Procure»: un po’ macabra come provocazione, considerato che le Br nelle Procure ci sono state davvero, ma per ammazzare i magistrati, come ha ricordato il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati.
«Uno slogan esagerato, concordo».

Forse poteva pensarci prima di tappezzare Milano...
«Ma non li ho visti prima dell’affissione!».

Roberto Lassini ha 49 anni e lo sguardo più vecchio. Tiene in mano un foglio, ci ha scritto la sua storia, una storia giudiziaria di quelle da manuale dell’ingiustizia: indagato per tentata concussione dalla Procura di Milano, 42 giorni di carcere e poi più di cinque anni in attesa di venire assolto con formula piena mentre la sua carriera politica veniva spazzata via, da sindaco Dc del Comune di Turbigo a più niente, «ho perso tutto». «Non so se darle questo appunto, perché vede, ci tengo a non venire strumentalizzato». È preoccupato. Mica per ciò che potrà succedere ora, «si figuri se dopo quello che mi è successo temo avvisi di garanzia». È che da allora gli è rimasta come una fissa, in fondo è il minimo che gli potesse accadere. È diventato avvocato, tanto per dire. E ora lo ripete a stancare, che la giustizia va riformata. Sembra di sentir parlare Berlusconi e infatti è per questo, spiega, «per sostenere il premier in questa crociata», che è nata quell’associazione, «Dalla parte della democrazia», che ha affisso un crescendo di manifesti che ha tappezzato Milano e suscitato sdegno e condanna bipartisan.

Che poi, Lassini, questa associazione esiste davvero?
«È regolarmente registrata come associazione culturale, non siamo clandestini».

È spuntata come dal nulla, però.
«L’abbiamo creata due mesi fa, apposta per dare manforte a Berlusconi. È l’unico che può rivoluzionare davvero il sistema e questa volta deve riuscirci. Io e un gruppo di colleghi ci siamo riuniti apposta per dargli manforte».

Bell’aiuto gli avete dato, complimenti.
«Vede, il premier ha parlato di brigatismo giudiziario...»

Ah, quindi è colpa del premier.
«È colpa di un sistema che non funziona, le cui conseguenze sono riassumibili nel brigatismo giudiziario di cui parla il premier».

Si ma i manifesti?
«Io credo che i militanti abbiano fatto una sintesi di quell’espressione».

Sintesi infelice.
«Vero. Però, ripeto, è stata una provocazione. Esagerata, ma tale. Sono certo che l’obiettivo non fosse mancare di rispetto alle vittime del terrorismo, io per primo provengo dalla Dc, che fu duramente colpita dalle Br, con la perdita del suo presidente».

Siete tutti a citare Aldo Moro ultimamente.
«Non ho una veste tale da poterlo citare. Vorrei solo che fosse chiaro che la mia non è pavidità: non è mia la paternità di quei manifesti, ma sono il presidente onorario dell’associazione e allora eccomi, ci metto la faccia. E voglio anche rispondere a Gianfranco Fini».

Che c’entra Fini?
«Ha detto che bisogna individuare i responsabili. Per me è la conferma che, all’epoca di tangentopoli e ancora oggi, c’è stato e c’è anche un giustizialismo fascista».

A proposito di fasciocomunisti.
«Esattamente. Nella mia vicenda giudiziaria ebbe un ruolo di primo piano un soggetto poi divenuto esponente di An».

Chi è?
«Non è questo il punto».

E qual è il punto?
«Il punto è che ieri come oggi c’è un giustizialismo squadrista. Il punto sono i cinque anni e mezzo che ho trascorso ad aspettare un giudizio, con 42 giorni di ingiusta detenzione preventiva a San Vittore».

Lei era sindaco di Turbigo, provincia di Milano.
«La suora dell’asilo infantile mi diceva: “Prego il Signore che guidi la tua mano quando firmi i provvedimenti”».

Poi l’hanno accusata di tentata concussione.
«Assolto in primo grado con formula piena, la Procura nemmeno fece appello. Nel frattempo però mi dimisi da sindaco».

Son gesti che nessuno fa più.
«Ma ci credo! Quanti sono i casi come il mio? Noi siamo stati di-mis-sio-na-ti da Tangentopoli!».

Però così c’è il rischio che anche chi ha commesso reati gridi al killeraggio politico per nascondersi.
«Verissimo. Ed è per questo che il sistema penale va riformato. L’obbligatorietà dell’azione penale, per dire».

Aboliamola una volta per tutte!
«Lei scherza, ma è uno dei punti cardine: sacrosanto che il magistrato indaghi, il problema è come. Con quante risorse, in quali tempi. Perché per ammettere il patteggiamento in Militaropoli venne chiesta la restituzione della tangente e in Patentopoli no? Perché se rubi una mela a Genova prendi un mese e se la rubi a Torino due? Chi decide?».

Il giudice è soggetto alla legge.
«In teoria. Ma nella pratica siamo la patria dell’Azzeccagarbugli. C’è troppa discrezionalità. La colpa non è dei magistrati, è il sistema che non funziona».

A proposito di colpe, lei è stato risarcito?
«Lo Stato italiano è stato condannato per l’irragionevole durata del processo».

Che in termini economici significa?
«Cinquemila euro, nemmeno le spese legali mi hanno rimborsato. E nessuno mi ha risarcito per l’ingiusta detenzione. Ma vede, io ho grande rispetto per magistrati che hanno spesso enormi responsabilità».

La responsabilità civile dei magistrati non è mai stata applicata.
«Non chiedo che gli si stia col fiato sul collo. Ma è giusto che ci sia un controllo sul loro lavoro».

Quello c’è, spetta al Csm e al ministero della Giustizia.
«Non parlo di ispezioni. Dico che se un cittadino oggi va in tribunale e chiede di esaminare gli archivi per conoscere lo stato dell’arte per esempio delle denunce degli ultimi dieci anni, quante sono andate avanti, quali sono finite nel sottoscala, scoppia la rivoluzione».

Quindi?
«C’è una legge per gli enti locali, la 241 sulla trasparenza amministrativa, che consente al cittadino di controllare gli atti. Fatto salvo il segreto istruttorio bisognerebbe applicarne una simile anche alla giustizia, è un parallelismo che si può introdurre».

Lei è candidato per il Pdl a Milano.

Vuole la rivincita?
«Era il 2006 quando ho trovato il coraggio di ripresentarmi con una lista a Turbigo».

È stato premiato?
«Sono stato eletto consigliere. Oggi spero solo di poter dare un contributo a palazzo Marino».

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