«Verso Costantinopoli»: presentato a Cagliari il libro di Stefano Vincenzi

Il romanzo conferma il nuovo interesse per il periodo bizantino, per troppo tempo inteso come sinonimo di decadenza. Ma ora la storica Silvia Ronchey ed Edward Luttwak, che ha dedicato all'Impero d'Oriente il suo ultimo saggio, viene indicato a modello da seguire.

Diversi segnali fanno pensare oggi ad una riscoperta dell'Impero Romano d'Oriente.
Si può dire che, dopo tanto tempo di silenzio su quel mondo o di interpretazioni dispregiative, «bizantino» non è più una parolaccia.
Forse, questo accade soprattutto perchè l'immigrazione pone adesso anche in Italia grandi problemi di integrazione e di confronto tra le culture e si parla sempre più spesso di «scontro di civiltà».
Pochi giorni fa è stato presentato a Cagliari, nel Palazzo di città accanto alla Cattedrale, il libro di Stefano Vincenzi intitolato «Verso Costantinopoli».
Ne ha parlato anche l'assessore alla Cultura del Comune di Cagliari, Giorgio Pellegrini ed è intervenuto il sindaco »Emilio Floris.
«Il testo - ha detto pellegrini- dimostra un'attenta ricerca storica, che si traduce anche nel ritmo del linguaggio evocatore di immagini. E suscita anche un grande interesse per i profondi legami tra la Sardegna e Bisanzio, che sarebbe bello approfondire con Vincenzi in un convegno che mi piacerebbe organizzare presto».
L'autore è un uomo di finanza, responsabile Compliance di Mediobanca e finora ha scritto solo volumi dedicati a questo genere di temi, che insegna all'università San Pio X di Roma.
Ma questo romanzo storico nasce, dopo ben 25 anni di gestazione, studi e sopralluoghi a Istanbul, dalla sua grande passione personale per Bisanzio e la sua cultura, per quegli eroi dimenticati o addirittura bistrattati che per secoli dalle mura di Costantinopoli riuscirono a preservare i valori dell'Occidente e a custodire l'identità che l'impero romano aveva lasciato loro in eredità.
Indagare in queste intricate vicende è per Vincenzi un modo per risalire alle origini della nostra civiltà e riabilitare eroi sconosciuti che la difesero.
Forse inconsapevolmente, ma a pieno diritto, questo libro s'inserisce nella generale riabilitazione di un'epoca per troppo tempo sommersa dall'oblio, anche per lo stereotipo ottocentesco che la indicava come prototipo della civiltà decadente.
Ma qualcosa sta cambiando. Papa Ratzinger, nel contestato discorso del 12 settembre 2006 a Ratisbona, per parlare di fede e ragione, del patrimonio del pensiero greco e di guerra santa, ha scelto di citare il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo nel suo dialogo con un persiano. E ha scatenato, come sappiamo, le proteste dei musulmani.
Pochi giorni fa il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, parlando al Salone della Giustizia di Rimini sul disegno di legge all'esame del parlamento per il «processo breve», ricordava che l'imperatore Giustiniano volle contrastare le lungaggini dei processi nel suo impero stabilendo che il giudizio penale poteva durare al massimo due anni e quello civile tre. Proprio i tempi del progetto del governo.
Molti sono i libri usciti recentemente sulla civiltà bizantina, soprattutto saggi, e una delle maggiori esperte di quell'epoca, la professoressa Silvia Ronchey, sottolinea come Bisanzio abbia molto da insegnarci, se la si considera per quello che fu: un impero multietnico capace di rielaborare l'eredità romana anche attraverso il dialogo culturale con le civiltà orientali.
L'ultimo evento editoriale è il libro di Edward Luttwak, noto consulente del governo americano che spesso interviene anche sui fatti politici italiani: «La grande strategia dell'impero bizantino». Nell'opera l'autore indica questo modello per il mondo d'oggi e in particolare per la maggiore potenza, quella Usa.
Caso unico nella storia, l'impero bizantino mantenne per mille anni un dominio incontrastato su un territorio vastissimo e multietnico, favorendo l'integrazione delle culture dei popoli assoggettati.
La sua formula era: poca guerra, molta diplomazia ed un uso spregiudicato dell'intelligence, cioè di una diplomazia sottile ed efficace che sapeva usare le sue arti su ogni tavolo di trattativa. Riuscendo per molto tempo a mantenere la pace e a ricorrere ai conflitti sono per difesa, reggendo all'onda d'urto di Unni, Slavi e Arabi.
Quando il turco Maometto II entra a Bisanzio nel 1453 è la vittoria dell'Islam ottomano, ma per Luttwak l'impero era già morto, ucciso dagli eserciti cattolici della Quarta crociata: il crollo dei valori occidentali permise l'islamizzazione e la perdita di un'identità difesa per un millennio. L'America, come l'Europa, oggi devono imparare la lezione.
Per far conoscere meglio quest'epoca il libro di Vincenzi fa molto. Dà un volto e un linguaggio ad eroi dimenticati tra le pieghe della storia, spesso rinnegati. Sono i protagonisti dell'epoca bizantina che, in secoli oscuri, difesero i valori dell'Occidente contro i barbari e gli stessi intrighi di palazzo che resero celebri quei tempi.
A loro, coraggiosi condottieri e ambiziose regine, giovani monarchi e anziani capi religiosi, è dedicato il primo romanzo di Vincenzi.
Siamo all'epoca dei Longobardi e di Carlo Magno, ma i riflettori si accendono su uno scenario spesso trascurato: quello dell'Impero d'Oriente, della corte di Costantinopoli, città più ricca, bella e popolosa della cristianità.
Sale sul trono un ragazzo, Costantino VII. «Sarà un grande imperatore», dice di lui il leggendario condottiero Romano Lecapeno.


Ma è ancora troppo giovane per contrastare la «crisi bulgara» e Romano ne sarà il grande difensore, mediando tra le mire politiche dell'astuta madre, l'imperatrice Zoe e le arti del patriarca Nicola Mistico, il Richelieu di Bisanzio, prima di arrivare anche lui al soglio imperiale.

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