Al vertice Nato esordio con lo scoglio afghano

Scetticismo sull’idea italiana di sostituire l’impegno militare con una conferenza internazionale di pace

Alessandro M. Caprettini

nostro inviato a Riga

Doveva essere l’occasione per un ripensamento importante dell’alleanza. Da strumento rivolto alla difesa dell’Europa occidentale e nord atlantica a protagonista globale, capace di intervenire con rapidità in ogni angolo del mondo dove si manifestassero conflitti e tensioni. Ma il vertice Nato che si apre oggi in Lettonia rischia di incagliarsi nell’ennesimo dibattito sulla missione afghana. Non solo perché il segretario generale dell’alleanza, l’olandese Jaap de Hoop Scheffer, è da tempo che freme per rafforzare i ranghi della missione Isaf, ma anche perché Romano Prodi ha ribadito giusto la scorsa settimana nel corso del summit italofrancese che l’impegno militare là non ha più senso, che un aumento delle truppe sarebbe inutile e che è invece il caso di tentare la carta di una conferenza, tutta politica, tra la Nato e i Paesi limitrofi per cercare, se possibile, una soluzione.
Che la Nato, riunita per la prima volta in territorio ex-sovietico (visto che al summit precedente di Istanbul del giugno 2004, avevano fatto ingresso formale sette Paesi ex-comunisti e cioè Romania, Bulgaria, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Lituania e, appunto, Lettonia) possa decidere di chiudere la missione afghana sono in pochi a crederlo. Bisognerà tra l’altro verificare quanto Prodi caldeggerà l’ipotesi avanzata un paio di settimane fa da D’Alema, ma che i cinesi ad esempio avevano snobbato. Ma certo il nodo è sul piatto dei capi di Stato e di governo dei 26 Paesi dell’alleanza che - Bush in testa, da ieri sera in Estonia ed oggi a Riga - per due giorni dovranno valutare la questione assieme a tutta un’altra serie di elementi (la presenza in Kosovo, il rafforzamento di una forza d’intervento rapida, le aperture da concedere a Croazia e Macedonia, ma anche ad altri Paesi balcanici) e al tema sempre caldo della lotta al terrorismo.
De Hoop Scheffer, ieri da Bruxelles ha notato che se dall’Afghanistan «non arrivano solo buone notizie» è anche vero che si può registrare una lunga lista di «progressi». Per lui sarebbe necessario che il governo Karzai s’impegnasse maggiormente nella lotta alla corruzione e che, a parte la necessità di aumentare la presenza militare (il comandante supremo delle forze Nato James Jones ha detto di aver ottenuto fin qui solo l’85 per cento dei soldati richiesti per l’inverno) alcuni Paesi che hanno inviato truppe - come Francia e Germania - eliminassero le «restrizioni» per cui i loro soldati non possono andare a dare una mano ad olandesi, britannici e canadesi impegnati nel Sud del Paese, dove la guerriglia talebana è dura a battersi. «Capisco che i Parlamenti impongano delle restrizioni sulle proprie forze, ma a volte è più importante toglierle piuttosto che inviare nuove forze», ha detto Scheffer per il quale «il vertice dovrebbe sottolineare che in caso di emergenza ciascun alleato fornirà assistenza agli altri alleati. Cosa che penso sia perfettamente fattibile».
Prodi - che giungerà assieme a Parisi - da quest’orecchio pare però non sentirci, visto che la sua maggioranza s’è detta contraria a inviare i nostri nelle regioni del Sud.

E sull’intera missione vedremo se proporrà il ritiro e la conferenza. Cose di cui il premier italiano non ha fatto però alcun cenno ieri, dopo aver rivelato di aver parlato con Bush per informarlo che gli ultimi militari italiani lasceranno l’Irak ai primi di dicembre.

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