Viaggio all'italiana tra osti e osterie Ecco come orientarsi e cosa apprezzare

I racconti nella Guida di Slow Food giunta alla 30esima edizione

Maurizio Bertera

«L'Italia è un paese di osti e trattorie». Gualtiero Marchesi, il Maestro della cucina italiana, ne era sinceramente convinto: la frase non era denigratoria (anche perché lui era figlio di un oste raffinato ma oste comunque, e mangiava spesso nelle trattorie), ma lucida nel sottolineare le preferenze di un pubblico che a differenza della Francia vedeva e continua a vedere con scarsa simpatia o proprio timore l'Alta Cucina. La verità è un'altra: ci sono stellati validissimi, ma anche tanti che richiedono un costo eccessivo per quanto offrono. Come esistono delle trattorie eccezionali ma anche un mare di osterie dove mangi malissimo, al di là che si paghi poco e i piatti siano «semplici» o «della tradizione».

Ci vuole una bussola e non ci sono dubbi che la Guida alle Osterie d'Italia di Slow Food - arrivata alla 30ª edizione sia una delle migliori. Perché le racconta. «Un luogo familiare e accogliente, dove si è sempre mangiato in maniera semplice, gustosa: oggi l'Osteria è diventata quasi mitologica. Sembra qualcosa che conoscono tutti, ma è tutto fuorché semplice da codificare, perché ne esistono almeno quattro tipologie», spiega Carlo Petrini, il «guru» di Slow Food. Per la cronaca, lui le identifica in osteria moderna, osteria tradizionale, agriturismo, ristorante di tradizione: talvolta sono sfumature, di sicuro hanno in comune la (buona) lettura del territorio e il fatto di essere più che mai di moda per il pubblico italiano (o lo sono sempre state, seguendo l'idea marchesiana) e molto gradite dagli stranieri, che mediamente sono meno attenti al cibo e più al contesto. Ecco perché bisogna colpire duro metaforicamente quando ci si imbatte nella parodia: non basta un vecchio bancone, le tovaglie a quadri e la lavagnetta per fare osteria. Lo prova anche l'edizione 2020 della guida Slow Food che se da un lato recensisce 1656 locali (contro i 1617 del 2019), ha assegnato 268 Chiocciole: 11 in meno, a conferma che non si entra facilmente nell'élite. La Chiocciola per chi ama l'osteria e la gestisce vale una Stella Michelin: certifica la qualità dei prodotti con grande attenzione ai Presidi Slow Food, ovviamente e la validità della cantina, il pieno rispetto delle tipicità e la qualità dei piatti. In un'era di evidente riflusso della cucina italiana (a parte l'èlite tristellata che gioca un altro campionato, mancano certezze), bisogna ammettere che il miglior presente e forse il futuro è in mano alle osterie doc, come sottolinea sempre Carlin Petrini.

Curiosità finale: ogni anno, i curatori di Slow Food assegnano premi speciali ai migliori di ogni categoria.

Segnate i locali, insieme a quelli della nostra cartina che ci piacciono particolarmente: Antica Trattoria Di Pietro a Melito Irpino (AV) per la cucina regionale, L'Oste Dispensa a Orbetello (GR) per l'osteria «giovane», La Pecora Nera ad Albi (CZ) per la dispensa, Visconti ad Ambivere (BG) per la carta dei vini, Trattoria Popolare l'Avvolgibile a Roma come novità dell'anno, La Brinca di Ne (GE) l'accoglienza «da osteria». Sono approdi dove tutto è curato ma soprattutto si respira quella passione che è alla base dell'osteria, luogo del cibo e dell'anima. Magari un po' aggiornato, ma fedele a se stesso e ai nostri ricordi.

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