Quentin Tarantino nasce a Knoxville, Tennesse, nel 1963. Cresce a Los Angeles con Connie McHugh, «madre single di origini umilissime» che diventa dirigente nell'ambito delle assicurazioni mediche. Risultato: «Mi fa strano categorizzarmi come femminista. Non so perché io demonizzi il termine; più che altro penso di avere una parte femminile, e che quello che faccio sia più un segnale del mio apprezzamento per le donne che un'etichetta». Lo racconta nel 2004, per l'uscita di Kill Bill Vol. 2, in una delle interviste raccolte in Perché è divertente (a cura di Gerald Peary, minimum fax, pagg. 326, euro 20): si comincia con l'esordio Le iene, nel 1992, e si chiude su Django Unchained, vent'anni dopo.
Quella prima volta, a Cannes, ha 29 anni e si descrive così: «È l'unica cosa che sono sempre stato: un appassionato di cinema. È buffo, incontro persone che hanno tipo venti, venticinque anni, e non sanno cosa vogliono fare nella vita. Io lo so da prima di quanto possa ricordare». Da bambino, Quentin guarda film in tv tutto il giorno; va al cinema ogni fine settimana: «Se avevo già visto tutti i film in programmazione, li riguardavo». Adora i polizieschi, gli horror e Godard, De Palma e Sergio Leone: «Sono stati i miei maestri di cinema». Lavora in un negozio di videonoleggio e coi pochi soldi che riesce a mettere da parte, a 22 anni, prende in prestito una cinepresa da 16 mm: «Per tre anni ho girato un lungometraggio, My Best Friend's Birthday. E dopo tre anni di riprese, finalmente ho avuto i soldi per metterci mano. Ho cominciato a montarlo e mi si è spezzato il cuore: non era quello che pensavo sarebbe stato. Era inutile». Lezione: «Ora so come non fare un film». Però Tarantino è già Tarantino e quindi inizia a scrivere sceneggiature: Una vita al massimo, Natural Born Killers (che girano, rispettivamente, Tony Scott e Oliver Stone). Poi arriva l'idea di un film intitolato Le iene: «È un titolo pazzesco, mi dicevo. Suona come qualcosa che potrebbe trovarsi in un film con Alain Delon di Jean-Pierre Melville, che mi ha molto influenzato. Immaginavo Alain Delon in completo nero che diceva: Sono Mr. Blonde».
Come nasce la scrittura alla Tarantino? «Compro tre penne rosse e un taccuino». E poi si parte: «Sono i personaggi a scrivere i dialoghi, io mi limito a farli parlare e annotare quello che dicono. Sono come le conversazioni che faccio nella vita reale». Per esempio, lui è uno che, nella vita reale, ha dovuto dire a Steve Buscemi: «Ok, devi prendere la pistola, scaricarla addosso ai poliziotti, saltare in macchina e, se il semaforo è verde, andartene. E lui: Se il semaforo è verde???». Il fatto è che, all'epoca, non aveva abbastanza soldi per far fermare il traffico: «Ci servivano cinque poliziotti per fermare il traffico, e ne avevamo solo due. Speriamo che per il prossimo film avremo più soldi». Li ha avuti, altroché. Come quintali di critiche per la violenza nei suoi film: «Se la violenza fa parte della tua tavolozza, devi essere libero di andare dove ti porta il cuore. Non credo che Stanley Kubrick con Arancia meccanica volesse condannare la violenza. Voleva filmare quella roba lì. Era cinematograficamente eccitante». Violenza più amore giovanile per i polizieschi uguale una «antologia» del genere: Pulp Fiction. Bruce Willis? «Ha l'aspetto di un attore degli anni Cinquanta». John Travolta? «Sono sempre stato un fan. Penso sia un dei migliori attori in circolazione. In Blow Out fa una delle mie interpretazioni preferite di sempre». E poi: «Alcune parti le ho scritte appositamente per certi attori. Ho scritto Wolf per Harvey Keitel, ho scritto i fuorilegge inglesi, Ringo e Yolanda, per Tim Roth e Amanda Plummer». Uma Thurman che salta in aria per la siringa di adrenalina infilzata nel cuore? «L'ha fatto anche prima che glielo chiedessi, è volata! Sembrava un diavolo della Tasmania! Mi ha detto che aveva girato un film, credo fosse Le avventure del Barone di Munchausen, in cui c'era un leopardo stordito che doveva essere trasportato. Quando si è risvegliato era incazzato nero e si è tirato su di scatto!». Quanto alla scena del ballo con Travolta: «Volevo che Uma ballasse come in una scena degli Aristogatti. Ho imitato il gatto, con le mani puntate verso il basso». Ma la meravigliosa Uma è andata ben oltre gli Aristogatti, per prepararsi a girare con Quentin. Per esempio, per Kill Bill lui le assegna per compito di guardare un film di vendetta svedese, Thriller. Lei esegue (in originale, senza sottotitolo) e poi gli telefona: «Quentin! Mi hai fatto guardare un porno! E io: Sì, ma un grande porno!».
E poi ci sono: l'amore per Sergio Leone («Il mio film preferito di tutti i tempi è Il buono, il brutto e il cattivo: è il miglior film che sia mai stato realizzato») e per la cultura nera («Sono cresciuto immerso nella cultura nera. Ho frequentato una scuola di soli neri. È la cultura in cui mi identifico»); i suoi personaggi («Divento i miei personaggi mentre li scrivo»); la passione per le scene nei ristoranti («Se dovessi girare La figlia di D'Artagnan o un film preistorico, ci sarebbe sicuramente una scena in un ristorante!»); il destino («Se non avessi avuto tutta questa voglia di fare film avrei fatto la fine di Ordell, il protagonista di Jackie Brown. Non avrei fatto il postino o il centralinista, sarei finito in galera»).
Anche Quentin Tarantino è un bastardo senza gloria? In effetti, visto che ammette che Aldo, il tenente interpretato da Brad Pitt «è sicuramente modellato su di me»... Leggete questo libro - una volta tanto il titolo dice il vero - Perché è divertente. Quasi come un film di Tarantino.
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