La vita è un pallone che rotola verso il mare. E chi lo insegue scopre i binari del tempo

Nel romanzo di Marino Magliani ("Il bambino e le isole (un sogno di Calvino") c'è una Liguria aspra e commovente

Marino Magliani
Marino Magliani

Uno dei più famosi Ossi di seppia di Montale, quello dedicato alla fragilità precaria, pericolosa della «felicità raggiunta», finisce con due versi, «Ma nulla paga il pianto del bambino/ a cui fugge il pallone tra le case», che sembrano prefigurare e contenere la storia raccontata in questo strano, aspro, commovente libro dello scrittore ligure Marino Magliani : Il bambino e le isole (un sogno di Calvino), edito da 66Thand2nd (pagg. 183, euro 17). Un pallone che scappa di mano a un bambino in un paese ligure infila carruggi che diroccano verso il mare. È davvero facile che si perda.

A Sanremo poi, in tempi non così lontani, il pallone poteva incontrare l'ostacolo della via ferrata, che cinturava la città. Sembra che il giovane Italo Calvino avesse concepito di scrivere la favola di un bambino che arriva di corsa ai binari dietro il suo pallone, ed essendogli stato proibito attraversarli, si mette a seguirne il corso per vedere dove finiscono. Magliani, che oscilla sempre tra la robusta vena di narratore puro mostrata in Il cannocchiale del tenente Dumont, ottimo romanzo storico, e l' attaccamento a una prosa ispida, ligustica, a volte addirittura preziosa, dà credito a questa ipotesi, e parte da lì per costruire il suo racconto.

Siamo nell'estate 1935, un treno corre verso Sanremo, tra «un bollore di cicale», e un «cielo di pietraia». Su quel treno c'è Walter Benjamin, che scende e alloggia a Villa Verde, e si può congetturare che incontri il piccolo Calvino, e che i due parlino e simpatizzino, nel comune interesse per i libri e per la ricerca di un esemplare di lucertola ocellata. Nello stesso anno, nella stessa stagione, nella stessa città, un bambino di cui non sapremo il nome rincorre un pallone sino ai binari, e lì ferma la sua corsa a dirotto, e inizia un nuovo viaggio, orizzontale questa volta, parallelo al mare, lungo i binari per andarne a cercare la fine. Un viaggio che è subito fuori del tempo.

Percorre gallerie buie da cui esce in una luce ferrosa e abbagliante, dorme dove può, in capanni, parchi, canneti, una stazione dopo l'altra verso Levante. A Diano Marina è già uomo fatto. Ad Alassio il primo incontro di rilievo. Lì l'uomo dei binari incrocia l'uomo delle isole. Quest'ultimo è un pittore e si chiama Carlo Levi, e disegna la Liguria come un arcipelago, promontorio dopo promontorio , isola dopo isola. Poi il viaggio prosegue via via sino alla Toscana. Lì si ferma, come se un sogno concepito in Liguria (tale è il bambino-uomo-vecchio dei binari) non potesse che esistere dentro i suoi confini. E il protagonista si mette sulla via del ritorno. Il suo ricongiungimento nella Sanremo di oggi con il fantasma della madre è la parte più toccante del libro.

Magliani non punta sul fiabesco, e la grammatica del fantastico non è la sua. Piuttosto il racconto prende una non dichiarata, forse neppure voluta piega meta-letteraria e metafisica.

E il suo personaggio più clochard che folletto, ci parla della fatica del vivere, del dolore delle cose, di quel pianto che niente può pagare per qualcosa di perduto e rotolato via. Proprio come un pallone in un carruggio che scende verso il mare.

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