di Isabella Calogero
Scriveva Anais Nin: «Se una persona vede solo giganti, vuol dire che guarda ancora con occhi da bimbo».
Ora: che Matteo Manassero di giganti, soprattutto golfistici, in giro non ne veda poi tanti, è chiaro e lampante; meno ovvio è che non abbia più gli occhi da bimbo, viste le sue fresche diciassette primavere.
Tant'è, il veronese è un anacronistico ritratto di freddezza: dove poi questo teenager scovi questo temperamento da golfista navigato, resta un mistero.
Tanto vale chiederlo direttamente a lui: «Sinceramente non sono così sicuro della mia freddezza! Per esempio, a Castellòn ero molto nervoso, soprattutto all'inizio e alla fine, quando la vittoria era vicina. Però sono riuscito a gestire molto bene la pressione, imbucando i putt decisivi e sbagliando molto poco. In verità credo che la vera forza di un professionista sia nel riuscire a ripetere sempre, nei momenti brutti e in quelli belli, la sua routine di gioco. Da questo punto di vista, le 18 buche conclusive del Rolex Trophy mi hanno insegnato parecchio».
Domenica il turning point è stato tra la buca 12 e la 13. Cosa è scattato in quel frangente nella tua testa?
«Ho continuato a credere che qualcosa poteva ancora succedere: ho provato a recuperare i colpi di svantaggio e ci sono riuscito, ma senza quei due putt fenomenali alla 12 e alla 13 mi sarei trovato indietro di tre lunghezze rispetto a Boyd».
Sei passato da un taglio mancato in Portogallo alla vittoria in Spagna in soli sette giorni. Cos’è cambiato?
«Sono certo che il successo di Castellòn sia arrivato anche grazie al riposo e a due sessioni di pratica di più che ho potuto avere in Portogallo: ho allenato il putt che mi era davvero mancato in quella gara e l'ho fatto diventare il mio punto di forza per la Spagna».
Riuscirai a giocare il Wgc di Shanghai a inizio novembre?
«Direi proprio di si! Riceverò il visto cinese proprio oggi. Sarà una grande esperienza».
Sei stato ospite di Montgomerie durante la Ryder cup. Cosa hai imparato da quella esperienza?
«Per ora posso solo dire che è stata utile come svago e divertimento! Quando poi la giocherò, allora potrò capire quanto mi sia servita».
Da Monty a Tom Watson: nel 2009 a Turnberry ti disse di non cambiare nulla di te e del tuo gioco e che saresti arrivato in alto. Hai seguito il suo consiglio?
«Direi di sì: non ho modificato i fondamentali del mio gioco; ho solo cercato di migliorare alcune parti del mio swing».
Un tuo amico, Andrea Pavan, ha da poco mancato negli States il passaggio al Second Stage della Qualyfing School e ora sta giocando i Campionati del Mondo.
«Era quasi riuscito in una rimonta pazzesca nell'ultimo giro: peccato! Andrea gioca benissimo e ha molto talento. È un caro amico, per questo voglio che giochi un gran Mondiale, che si riscatti e che poi venga in Europa a conquistarsi la carta: ce la può fare».
Siamo abituati alle tue doti, ma hai qualche difetto?
«Fuori dal campo da golf sono testardo e un pochino permaloso e non sono certo di poter migliorare, anzi, sono sicuro di no! Per
E il tuo Milan in cosa deve migliorare?
«Servirebbe un terzino che possa allargare la rosa, però per ora sono soddisfatto della stagione».
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