Dazi e incertezza zavorrano la crescita: Pil a rischio dimezzamento nel 2025

Il Dfp: l’impatto delle tariffe Usa potrebbe ridurre il Pil al +0,3%. Il debito rischia di salire verso il 140% entro il 2027. Le imprese resistono grazie all’export di fascia alta. Bruxelles frena sulla clausola di salvaguardia

Dazi e incertezza zavorrano la crescita: Pil a rischio dimezzamento nel 2025
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L’effetto dei dazi potrebbe ridurre il Pil del 2025 al +0,3%, praticamente dimezzandolo rispetto alla stima ufficiale attuale del +0,6%. È uno degli scenari delineati nel Documento di finanza pubblica (Dfp), la nuova versione del Def trasmessa alle Camere nella serata di giovedì. Lo stesso Dfp prevede che un eventuale shock finanziario, combinato all’impatto delle misure protezionistiche, potrebbe appesantire anche il debito pubblico, facendolo salire fino a sfiorare il 140% del Pil nel 2027. Un’evoluzione opposta rispetto alla traiettoria inizialmente prevista, che puntava invece a una discesa verso quota 135%.

Un quadro che si fa quindi più fragile e preoccupante per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, alla vigilia del giudizio di S&P sul rating del debito sovrano italiano, che dovrebbe arrivare in serata. Ma secondo il Bollettino economico della Banca d’Italia non è ancora il momento di cedere al pessimismo. Le imprese italiane, infatti, potrebbero riuscire a limitare i danni legati alla guerra commerciale con gli Stati Uniti. "Nonostante la significativa esposizione del nostro sistema produttivo al mercato statunitense", spiega l’istituto di via Nazionale, molte aziende riuscirebbero a reggere l’urto grazie alla qualità dei loro prodotti: si tratta per lo più di beni di fascia alta, destinati a clienti meno sensibili ai rincari, in grado di assorbire l’aumento dei costi senza ridurre in modo drastico la domanda.

Secondo le stime, il fatturato delle imprese esportatrici potrebbe subire un calo di circa un punto percentuale, ma per la maggior parte – circa tre quarti – il margine operativo lordo, in rapporto ai ricavi, si ridurrebbe di non più di mezzo punto. Numeri che testimoniano una certa resilienza del tessuto produttivo italiano, sebbene inseriti in un contesto globale instabile e potenzialmente sfavorevole.

Il vero nodo, però, è che l’Unione Europea al momento non sembra intenzionata ad attivare la clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità, non avendo ancora elementi sufficienti per misurare l’effettivo impatto recessivo delle nuove tariffe. In altre parole, senza una chiara evidenza economica, le regole di bilancio europee resteranno pienamente operative, lasciando agli Stati membri – Italia inclusa – margini di manovra molto limitati.

In questo scenario a bassa crescita e ad alta incertezza, il governo conferma la volontà di puntare sul sostegno alla natalità e alle famiglie. "Confermerà e amplierà una pluralità di strumenti di policy che intervengano sui fattori che incidono sulla scelta della genitorialità e sulla domanda di servizi per la prima infanzia", si legge nel Dfp. La strategia dell’esecutivo si muove così su due binari: da un lato la prudenza nei conti, per non incrinare ulteriormente la fiducia dei mercati e delle agenzie di rating, dall’altro l’investimento su politiche sociali ritenute essenziali per il futuro del Paese.

Tuttavia, non tutte le misure avviate hanno finora prodotto risultati soddisfacenti. Il piano Transizione 5.0, introdotto nel 2024 per accompagnare le imprese nella doppia transizione digitale ed energetica, ha avuto un avvio sottotono: sono stati erogati solo 500 milioni di euro, mentre restano ancora disponibili circa 5,7 miliardi da destinare entro il secondo trimestre del 2026.

Anche il concordato preventivo per le partite Iva – il patto

fiscale su base volontaria per stabilire in anticipo l’imponibile – ha registrato adesioni inferiori alle aspettative: 585.000 contribuenti hanno accettato, ma si tratta di appena il 13% dei soggetti potenzialmente interessati.

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