"La prossima sfida è una Super Ia che comprenda cose a noi sconosciute"

Lo scienziato Nello Cristianini: "I test ci dicono che ormai le macchine possono anche ragionare"

"La prossima sfida è una Super Ia che comprenda cose a noi sconosciute"

Sono trent'anni che Nello Cristianini si occupa di una domanda per molti irritante: una macchina può essere più intelligente di un essere umano? Oggi la risposta è quanto mai concreta, perché «tutti i gruppi di ricerca, al momento - spiega - hanno come obiettivo quello di riprodurre le capacità umane, le abilità in cui eccelliamo». È l'argomento che Cristianini, professore di Intelligenza artificiale a Bath, affronta nel suo nuovo saggio, Sovrumano (Il Mulino; lo presenterà il 10 marzo a Milano, ore 18.30, Fondazione Feltrinelli).

Professor Cristianini, una macchina può davvero riprodurre le nostre abilità?

«È chiamata Agi, intelligenza artificiale generale: quella che ha prestazioni identiche alle nostre negli stessi compiti nostri. E che può anche superarci in questi compiti».

Il «sovrumano» del titolo?

«È ciò che trascende i limiti della natura umana. In questo caso, io mi occupo dell'intelligenza».

Come si fa a stabilire?

«Non possiamo fare test su tutte le singole abilità, quindi prendiamo in considerazione dei modelli elaborati dagli psicologi, che identificano 7-9 dimensioni diverse dell'intelligenza umana, da quella visiva a quella linguistica, da quella aritmetica a quella spaziale, per ciascuna della quale esistono dei test appositi, con dei punteggi; e poi possiamo andare a vedere come si comportano le macchine in ciascuno di questi test e confrontare i punteggi ottenuti, dagli umani e dalle macchine».

I test chi li elabora?

«I valutatori di macchine. Un mondo bellissimo. Persone specializzate nel costruire test sempre più difficili, per far inciampare le macchine... Un test, per esempio, ha combinato quasi sedicimila domande di geografia, chimica, storia, psicologia».

E...?

«Ad alcune domande, come quelle legate alle abilità linguistiche, la macchina rispondeva facilmente: è bastato aumentare il numero di dati in addestramento, il cosiddetto incremento di scala. Ma le domande logiche e matematiche resistevano».

Come mai?

«Si è capito che, leggendo milioni di dati e di libri e facendo collegamenti, la macchina riesce a rispondere in modo istantaneo, un po' come quando noi rispondiamo intuitivamente. Ma per alcune decisioni o risposte anche noi dobbiamo fare una serie di passaggi: ebbene, questa capacità di ragionare non si ottiene incrementando la scala».

Ma si ottiene?

«Lo scorso settembre è uscito un modello di intelligenza artificiale che riesce a eseguire i passaggi ad alta voce».

Come i bambini a scuola?

«Sì. Si obbliga la macchina a pensare ad alta voce, descrivendo i singoli passaggi. Lo chiamiamo monologo interiore... E, da quel giorno, le macchine superano anche i test di matematica, fisica, chimica e programmazione».

In ambito «ristretto» siamo già stati superati?

«Sì. Esistono modelli specializzati nel fare una cosa sola veramente bene: giocare a scacchi e a go, riconoscere i volti negli aeroporti, leggere le mammografie. Questo accade dal giorno in cui sono state sviluppate le reti neurali enormi: le macchine si sono specializzate benissimo, e nessuno si sente offeso. Magari gli scacchisti...».

Invece la sfida dell'Ia generale?

«È ben diversa. Ha l'ambizione di essere un singolo meccanismo che fa tutto quello che facciamo noi, una ipotetica forma di intelligenza che ci possa uguagliare».

Ipotetica quanto?

«Diciamo che siamo molto vicini. C'è ancora qualche test che la macchina non riesce a superare e noi sì... Però c'è una domanda: se le macchine ci raggiungono, perché dovrebbero fermarsi lì? È chiaro che, se ci raggiungono, dopo ci supereranno, esattamente come è avvenuto nel go o negli scacchi. Perciò dobbiamo considerare che non sia impossibile una macchina in grado di uguagliarci e, in certi campi, di superarci: una Super Ia».

Non è fantascienza?

«Se ne parla seriamente. È una missione presente in alcuni progetti pubblici».

Che cosa farebbe questa Super Ia?

«Può essere più brava nei nostri stessi compiti, come guidare l'auto, risolvere problemi di matematica, etc. Oppure fare cosa che noi non sappiamo fare. Fare un altro gioco. È interessante: è l'idea che esistano cose che noi non siamo in grado di comprendere, che ci eludono totalmente e non possiamo nemmeno sapere di non sapere, ma che la macchina potrebbe comprendere».

Come certi animali?

«Sì, che hanno abilità sensoriali e cognitive a volte migliori delle nostre. Non è blasfemia. Abbiamo dei limiti, per esempio la memoria di lavoro, che è fondamentale per il ragionamento: una macchina potrebbe avere una memoria di lavoro più ampia e, quindi, tenere a mente passaggi intermedi più numerosi».

Che altro?

«Le conoscenze di base. Noi ci aspettiamo che alcune regole siano rispettate: che il mondo contenga oggetti, che essi non scompaiano nel nulla, che valga il rapporto di causa-effetto. Queste conoscenze ci aiutano, ma sono arbitrarie: se abitassimo in un atomo non varrebbero. Infatti la meccanica quantistica non può essere compresa intuitivamente».

La macchina potrebbe?

«Potrebbe scoprire delle regole che noi non abbiamo mai trovato, perché non possiamo comprenderle, ma magari esistono. Non è facile pensare all'impensabile. La frase di Amleto, ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia, può valere anche per la macchina».

Però ci dà fastidio.

«Ci attrae e ci respinge. Lo perseguiamo con forza e, allo stesso tempo, speriamo non capiti. E, di fronte a ogni passo della macchina, rispondiamo: sì, però...».

Resistiamo?

«Attraverso un momento di progresso rapidissimo ci siamo trovati di fronte a domande umanissime: non dovremmo scartarle solo perché non ci piacciono».

Intelligenza però è diverso da umanità?

«È banalmente vero. L'intelligenza è la capacità di risolvere problemi di tipo cognitivo. Molti si offendono e dicono: abbiamo di più. Certo, ci sono il libero arbitrio, le emozioni, la libertà, la coscienza. Nessuno sta cercando di fare un essere umano».

Lavora da molto tempo su questi temi. Che cosa la affascina di più?

«A vent'anni, leggendo l'Infinito di Leopardi, ho provato questa emozione forte: quella di un orizzonte enorme, che non possiamo vedere, ma c'è.

Da allora l'ho sempre cercato e oggi mi sembra di essere quasi al suo cospetto, di essere in grado di contemplare l'esistenza di cose più grandi di noi. Essere posti di fronte ai nostri limiti è una emozione, ed è quella che Leopardi descrive. E per lui è bello: non ha paura dell'infinito...».

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