Ha affittato casa per alcune settimane, girato gli States, dormito (gratis) in casa di sconosciuti, accudito gatti altrui in cambio di tre giorni in piscina, barattato un letto in un B&B mentre ne preparava la pubblicità, raccolto e distribuito sacchi di cibo destinato alla discarica, cenato e cucinato per buongustai mai visti prima, si è improvvisata tassista per caso e autostoppista virtuale. Gea Scancarello, 35 anni, giornalista e blogger, si è tuffata nell'economia collaborativa da sperimentatrice. Nel libro «Mi fido di te» (Chiarelettere) racconta tutte le sue avventure sui social network della condivisione, con una guida che elenca trucchi, rischi e soddisfazioni.
Scoperta quasi per scherzo, partita dall'esigenza di risparmiare e realizzare desideri altrimenti impossibili, la sharing economy è diventata una scelta di vita: «Quando mi sposto, cerco e offro passaggi in auto. Se sono sola, per prenotare una vacanza cerco un couchsurfing: non c'è modo migliore per conoscere davvero una località lontana che affidarsi a chi la vive». Ogni giorno dedica almeno un paio d'ore a progetti digitali di condivisione, dalla banca del tempo alla raccolta del cibo: «Di tutte le esperienze che ho fatto, è quella che mi ha toccato di più. L'Occidente getta un terzo della produzione alimentare, altro che le campagne mediatiche secondo cui non c'è cibo per tutti. Lo spreco della grande distribuzione è clamoroso ma è anche recuperabile quasi completamente».
Qual è il segreto del successo della condivisione? «È facile e stimolante - risponde -. Si comincia per i soldi: ho un'auto, pago bollo e assicurazione, magari un piccolo prestito, e mi trasformo in autista. Sfrutto quello che ho. Poi apri la porta di casa o la portiera della macchina e ti si apre un mondo. Vale la pena anche solo per le cose che impari. E più ti apri, più ricevi, più dai. Si crea una consapevolezza che non è soltanto i 10 euro che ti restano in tasca».
Moda passeggera o una svolta negli stili di vita? Gea Scancarello non ha dubbi: «Un passaggio epocale: negli Usa cresce del 25 per cento anno su anno. Quando avevo 18 anni l'auto era uno status symbol, all'università chi non l'aveva era uno sfigato. Oggi i numeri dicono che il possesso non è più il “must” dei millennial. Non interessa avere un'auto ma potersi muovere e conoscere. Il passaggio dall'economia del possesso all'economia di servizio è soltanto una questione di tempo».
Ma come si fa a ospitare uno sconosciuto, a fidarsi di lui? Che rischi si corrono? «In questo sistema occorre un solo atto di fede: la prima volta. Senza questa moneta iniziale non parte nulla. Poi si capisce che la fiducia si conquista, si crea e si alimenta. Esistono strumenti per valutare l'affidabilità e la reputazione, cioè i giudizi e le recensioni delle esperienze. Il primo sconosciuto che ho preso con Blablacar non mi ha dato il voto massimo perché mentre guidavo ho risposto al telefonino senza auricolare. Giusto così», riconosce Gea.
L'aspetto che rimane più problematico è la regolamentazione, già avviata in alcuni Paesi ma non da noi: «Mancano anche le cornici generali soprattutto sul fisco. In certi settori il limite tra condivisione gratuita e un business è sottile. Se nessuno se ne occupa, l'opacità resta».
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