8x1, le tasse che noi paghiamo volentieri

La Chiesa cattolica in testa alla classifica delle donazioni, i partiti all'ultimo posto. Ma l'importante è poter scegliere

8x1, le tasse che noi paghiamo volentieri

Non siamo ai livelli del ministro (buonanima) Tommaso Padoa-Schioppa, per il quale «le tasse sono bellissime». Però c'è qualche imposta che gli italiani versano volentieri, non se ne lamentano, anzi le scelgono pure, firmano per decidere dove destinarle. Sono le «tasse del mille». L'8 per mille alle confessioni religiose e il 5 per mille alle associazioni non-profit. Dall'anno scorso se n'è aggiunta una terza, voluta dal governo Letta per cercare di tacitare l'ondata di antipolitica, cioè il 2 per mille ai partiti. Ma a differenza degli altri due, questo meccanismo è un disastro totale. Se gli italiani compilano con passione le caselle dell'8 e del 5 nella dichiarazione dei redditi, quelle del 2 per mille restano bianche. Invece che riavvicinare i cittadini alla politica trasformando il sistema del finanziamento pubblico ai partiti, il nuovo sistema di sovvenzione ha ottenuto l'effetto contrario. È la fotografia di una distanza sempre più profonda. Viceversa le altre due tasse funzionano, eccome, al punto che il governo Renzi voleva replicare il sistema per indirizzare un altro 5 per mille di imposte alle scuole paritarie. La Camera tuttavia ha accantonato la proposta, forse se ne riparlerà con la prossima legge di stabilità.

L'8 per mille nacque con la revisione dei Patti Lateranensi. Dal 1985 la Chiesa cattolica (meglio, la Conferenza episcopale italiana) e altre confessioni non ricevono più contributi diretti dallo Stato per retribuire il clero, costruire chiese e aiutare le iniziative di carità, ma incassano una parte dei tributi Irpef. È il contribuente, e non più l'ente pubblico, a stabilire quanto, come e dove devono essere utilizzate le imposte versate. Dopo vent'anni da quella prima novità, il principio è stato replicato per il Terzo settore: ne beneficiano attività di volontariato, ricerca scientifica e sanitaria, associazioni sportive dilettantistiche. Il successo si è ripetuto e il provvedimento è diventato permanente poche settimane fa.

I PREFERITI

Le cifre parlano chiaro. Secondo una relazione della Corte dei conti dello scorso novembre, su 41 milioni di contribuenti sfiora la metà il numero di coloro che firmano per dire all'erario dove mandare una parte del prelievo. Nel 1990 la percentuale di firme per l'8 per mille era pari al 53,6; è progressivamente scesa fino a toccare il minimo storico nel 1999 (36,6) per poi riprendersi e attestarsi tra il 45 e il 46 per cento, cioè 18-19 milioni di scelte. Quanto alla destinazione, la Chiesa cattolica ha sempre primeggiato incontrastata aggiudicandosi l'80 per cento delle opzioni e, quindi, dei fondi resi disponibili dallo Stato (oltre un miliardo di euro nel 2013, ultimo anno di cui sono disponibili i dati, su quasi 1,3 miliardi). Le altre confessioni religiose negli anni sono rimaste sostanzialmente stabili con l'eccezione della Chiesa valdese che ha registrato una crescita progressiva fino all'attuale 1,4 per cento circa.

Anche il 5 per mille ha immediatamente incontrato il favore del popolo dei tartassati con una quantità di opzioni leggermente inferiore, tra i 15 e i 16 milioni pari al 40 per cento della platea contributiva con un valore di quasi 400 milioni di euro nel 2013. Negli anni il numero delle scelte espresse non è variato di molto, mentre si sono registrati spostamenti tra le categorie di beneficiari: è cresciuta la fiducia verso le Onlus e le associazioni di volontariato a scapito degli enti di ricerca scientifica e sanitaria. Dato l'altissimo numero di possibili destinatari non si raggiungono gli introiti dell'8 per mille. Le maggiori simpatie dei contribuenti si concentrano verso associazioni e fondazioni contro le malattie più gravi (cancro, leucemia, sclerosi multipla), organizzazioni di medici che operano nel Terzo mondo (Emergency, Medici senza frontiere), ospedali e Unicef.

VOGLIA DI DECIDERE

Dunque, agli italiani piace questa forma di decentramento nell'indirizzo della spesa pubblica. È un elemento di quella che costituzionalisti ed esperti di finanza pubblica chiamano la spesa sussidiaria orizzontale: lo Stato favorisce l'iniziativa autonoma dei cittadini per svolgere attività di interesse generale. A questa categoria appartengono detrazioni, deduzioni, incentivi, voucher e, appunto, gli istituti del 5 e 8 per mille. «La frequenza delle scelte denota l'affezione del contribuente a questi meccanismi», conferma Gianmaria Martini, ordinario di economia politica all'università di Bergamo e curatore del Rapporto 2014-15 pubblicato dalla Fondazione per la sussidiarietà.

Spiega il professor Martini: «Il cittadino vuole essere responsabile delle scelte sulle risorse pubbliche. È un segnale importantissimo. Fino a qualche anno fa vigeva un modello unico, il suddito paga e lo Stato o l'ente territoriale dispone. Giusto che ciò avvenga per contesti come la difesa nazionale, la sicurezza, i rapporti con l'estero, la fiscalità generale; ma negli anni è cresciuta la richiesta dei contribuenti di incidere maggiormente sulle spese più prossime: l'istruzione, l'assistenza sociale, la sanità e il welfare».

LA POLITICA DELLA FIDUCIA

È una strada percorribile? In parte è «una scommessa», dice Martini: «Lo Stato dovrebbe investire molto di più su quello che dice la Costituzione. Fidarsi dei cittadini, lasciare che scelgano il modo migliore di curarsi, assistere i malati cronici, istruire i figli, riconoscendo in questa scelta un bene pubblico che viene tassato meno». Il Rapporto, incentrato sul legame tra sussidiarietà e spesa pubblica, dimostra poi che questa strategia si traduce in una crescita del Pil: basterebbe decentrare il 10 per cento della spesa pubblica per far salire dello 0,6 per cento il prodotto interno pro capite. In questo processo il fattore fiducia è cruciale. Lo dimostra il fatto che la quota di contribuenti che versa l'8 per mille alla Cei (38 per cento) è ben superiore al numero di cattolici praticanti, che secondo le rilevazioni del Censis si colloca attorno al 25 per cento della popolazione. Ma quanto conti la fiducia balza agli occhi guardando l'accoglienza ricevuta dall'ultima arrivata tra le «tasse per mille»: il 2 ai partiti. Qui domina l'antipolitica e il consenso alla casta sta a zero. Non si tratta di sussidiarietà, il problema è diverso: niente soldi alla politica, niente rischi di «schedatura». Un conto è dichiarare il credo religioso, altra questione è svelare al ministero delle Finanze il partito di riferimento.

LA SFIDUCIA NELLO STATO

La lontananza e il discredito della politica risaltano anche da altri aspetti. Le quote dell'8 per mille allo Stato e del 5 per mille ai comuni sono minoritarie: sono pochi i contribuenti convinti che l'amministrazione pubblica sappia impiegare bene le risorse. Raccolgono poco anche le fondazioni legate a singoli politici o gruppi di interesse politico ammesse al 5 per mille. Fatto sta che soltanto 16.518 contribuenti, 4 su 10mila, hanno destinato il loro 2 per mille ai partiti nel 2014, primo anno di questo nuovo strumento. Il Pd, primo partito finanziato con il 61 per cento dei fondi complessivi, ha convinto soltanto 10mila militanti a regalargli un po' di quattrini. La massa dei tesserati se n'è tenuta alla larga. E agli altri partiti è andata pure peggio. Un disastro totale. L'aspetto più paradossale della vicenda è che il governo Letta, autore di quella riforma fiscale, aveva messo in preventivo 7,75 milioni mentre dovrà erogare appena 325.709 euro.

E ci si chiede che fine faranno i fondi non distribuiti: i partiti, per i quali il 2 per mille doveva sostituire a poco a poco il finanziamento pubblico, si faranno assegnare ugualmente quel tesoretto di 7 milioni e mezzo? Nonostante la falsa partenza il numero dei pretendenti è cresciuto: gli 11 partiti del 2014 sono diventati 19 nel 2015. In ossequio al sempiterno «pochi, maledetti e subito».

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