Secchielli e palette? Pezzi d'antiquariato sulle spiagge itaiane. Almeno per i «digitali nativi», alias i bimbi tecnologici di oggi che hanno dimestichezza con computer e cellulari praticamente dalla culla. Altro che castelli di sabbia e paperelle, sotto l'ombrellone spopolano videogames e, male che vada, i giochini del telefonino cellulare. Ma demonizzare tout court videogiochi e play station non serve, ed è anche ingiusto. Perché i videogames, se usati correttamente e con la giusta attenzione, soprattutto dei genitori e comunque degli adulti che stanno con i bambini, sono un importante mezzo non solo di gioco, ma anche di apprendimento e di studio.
La rassicurazione arriva da un esperto, il professor Francesco Pira, sociologo della comunicazione dell'Università di Udine, autore recentemente con il primario emerito di Pediatria Vincenzo Marrali del libro «Giochi e videogiochi - Dal nascondino alla console» (Bonanno editore, Collana Officina dei Media). Il volume, grazie all'approccio integrato al tema dato dall'occhio del medico dei bambini e del sociologo, offre una lettura scientifica e al tempo stesso completa del modo in cui è cambiato il gioco dei bambini e di conseguenza dei mutamenti in atto in una società sempre più digitale. Una sezione - la ricerca è divisa in tre parti - è dedicata alle tappe fondamentali del gioco nello sviluppo del bambino, mentre l'ultima parte, grazie a ricerche, studi sul campo e contributi di pscicologi, sociologi, filosofi analizza i videogiochi attraverso l'approccio sociologico.
Risultato? Le paure e i pregiudizi degli adulti rispetto a questo genere di divertimento vanno messi al bando. «Non c'è da allarmarsi - dice il professor Pira, autore di numerose pubblicazioni sul rapporto tra infanzia e media e docente di Comunicazione e Relazioni pubbliche presso l'ateneo friulano - ma da stare attenti. I "digitali nativi" non arrivano più in spiaggia con palette e secchielli, non fanno più castelli di sabbia o piste per le biglie. È una visione jurassika dei giochi in mare. I genitori li dotano dell'ultima generazione di videgiochi e li vedete sotto l'ombrellone, nella peggiore delle ipotesi, con il cellulare di papà o mamma». Non è troppo? Non rischia di isolare i bambini, di annullare la socializzazione? «Non c'è da allarmarsi -rassicura Pira - anche nelle ore pomeridiane bambini e bambine si contendono la play station. È ora di chiudere con il vecchio dibattito se i videogiochi fanno bene o male. Esistono e bisogna capire come usarli. Magari per fare i compiti come stanno sperimentando in America».
E in questo un ruolo fondamentale devono svolgerlo gli adulti di riferimento. In particolare i genitori. Sono proprio loro, i papà e le mamme che con la tecnologia hanno preso confidenza più tardi, i soggetti più deboli, quelli che se non si metteranno al passo con i tempi rischieranno di perdere il contatto con i loro figli. «In questi giorni - sottolinea ancora il professor Pira - ho letto e sentito di come le aziende si stanno attrezzando per rendere sempre più tecnologizzata la vita dei bambini sotto i 10 anni, e di esperti che esprimono la preoccupazione che i bambini attraverso le nuove tecnologie possano isolarsi sempre di più. Ebbene, oggi la realtà che emerge è profondamente diversa, anche nel nostro Paese.
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