Alda Merini, l’addio della Milano che la poetessa amava e odiava

Il sindaco mette Palazzo Marino a disposizione per la camera ardente e propone la sepoltura al Famedio. L’assessore Finazzer: le dedicheremo la giornata mondiale della poesia. Sui Navigli una targa alla memoria. L'ultima intervista alla poetessa. Il ricordo/Un cappello di paglia tra le paillettes di Chiambretti

Alda Merini, l’addio della Milano 
che la poetessa amava e odiava

Come la poesia - non conta se capolavoro o dilettantesca, l'importante è che sia autentica - lei, Alda Merini, era sempre lì, nella sua casa sui Navigli non più grande di una grande roulotte, per tutti i milanesi, nessuno escluso: poeti in erba, semplici ubriaconi, editor alla ricerca di un libro molto faticoso da mettere insieme - Alda non scriveva: quand'era presa dall'ispirazione dettava improvvisando a chiunque fosse lì in quel momento, e chi scrive ne ha esperienza - ma però libro "sicuro", semplicissimo da piazzare ai librai e alle biblioteche pubbliche, perché ormai Alda era diventata, volenti o nolenti, un piccolo classico da non farsi mancare. Era lì, per le casalinghe disperate e per coloro che vedevano in lei una persona, appunto, autentica, contro il conformismo mediatico di quasi tutti gli altri - acculturatissimi, sofisticatissimi, disinfettatissimi - facitori di versi. Era doppia, era patetica, era erotica come possono esserlo i pazzi, come l'Adalgisa Conti di «Lola che dilati la camicia»: si lamentava, sbuffava, toccava, tuttavia dava moltissimo a chiunque, senza accorgersi. Alda Merini - nata a Milano il primo giorno di primavera del 1931, a Milano vissuta e a Milano morta ieri - era di quei poeti carnali che devono molto al fatto di esserci, di non muoversi, alla loro capacità di raccogliere persone intorno a sé e, in ultima analisi, alla loro generosità un po' fatale, a un certo sprecarsi folle e autodistruttivo, pure sulla pagina, pure nello stile. Però c'era. Alda Merini non se ne andava mai via, e questo, anche se sembra poco, oggi è davvero molto. Si bisticciava con lei con una certezza soltanto, al di là dei torti e delle ragioni: che ci si sarebbe rivisti. Il miglior ricordo che si ha di Alda coincide con un'osservazione della teologia: «La presenza è grazia». Ce la siamo beccata tutti, noi giornalisti, e da diverse generazioni: nelle redazioni milanesi, tra i dialoghi sull'universo mondo, tra le righe, tra le pagine, tra i libri, c'era sempre l'aneddoto Merini (spese i primi soldi della legge Bacchelli in cigolò, pubblicò come sua una poesia di Rilke), la battuta su come sta la Merini, l'ultima follia della Merini (le staccarono il gas perché aveva detto al telefono a un amico: «sono alla canna del gas», e verosimilmente l'amico pensò che stesse per suicidarsi), poi si passava ad altro, ma l'accenno ad Alda non mancava. Chi scrive iniziò anni fa su queste pagine con un articolo a proposito della coppia «Alda Merini - Giorgio Manganelli», due pazzi milanesissimi che si amarono in modo inevitabilmente folle, come Alda mi raccontò con la voce venata da una dolce e struggente nostalgia, e sempre chi scrive questa estate, da redattore, ha «passato» l'ultimo reportage di un collega in spedizione diurna nell'antro della poetessa: era impossibile che passassero due mesi senza imbattersi in Alda Merini, tra l'altro Ambrogino d'oro nel 2002. «Il luogo di Milano che Alda riteneva il più bello tra tutti - ci racconta Antonella Bonamici, sua editor per tantissimi libri pubblicati da Frassinelli - era il manicomio, il Paolo Pini, dove lei passò diverso tempo. Me lo disse più volte. Per lei era un luogo privo di violenza, dove la gente si rispettava e si voleva bene. Per lei il vero manicomio era la città». Una città non priva di poesia viva, però: Alda frequentò nel Dopoguerra l'associazione di David Maria Turoldo in largo Corsia dei Servi, e mantenne negli anni un'amicizia con Giovanni Raboni, il già citato Manganelli, Maria Corti, l'editore Scheiwiller. E molti altri la sostennero senza abbandonarla mai (non è vero, come hanno detto alcuni gazzettini radio, che è morta in solitudine e indigenza): tra di essi possiamo annoverare Arnoldo Mosca Mondadori, Giuliano Grottini (stampatore d'arte nonché suo fotografo), Alberto Casiraghi (il micro editore di Pulcinoelefante). «Il 21 marzo - ha detto l'assessore alla cultura Finazzer Flory - la giornata mondiale della poesia nell'ambito del progetto Milano Poesia che abbiamo in cantiere sarà dedicata a lei. Una targa ricorderà la sua abitazione sui Navigli. Ha donato a me e credo a tutti i milanesi una ragionevolissima follia a cui non dovremmo venire mai meno». E mettendo a disposizione Palazzo Marino per la camera ardente, il sindaco Letizia Moratti propone la sepoltura al Famedio: «Alda Merini era l'esempio di una donna radicata a Milano. Ricordo ancora quando l'estate scorsa mi regalò una poesia dolcissima che tengo incorniciata nel mio ufficio in Comune». Ultimamente amava certo lamentarsi, Alda, a proposito di Milano e della vita tutta, ma sapeva di non essere dimenticata. Milva ha cantato le sue poesie, mettendole poi in un CD; Valentina Cortese ha interpretato i suoi versi; Lucio Dalla ha portato il suo San Francesco sul palco, in uno spettacolo che, speriamo, resterà in programma per il 27 novembre prossimo alla chiesetta dell'Opera di San Francesco, in viale Piave.

«Milano ha perso - ci dice Arnoldo Mosca Mondadori - una delle più potenti vene poetiche della sua storia. Ma io non riesco e non riuscirò a usare il passato, parlando di lei. Alda ha questa presenza, per così dire, eterna».

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