Con la barba su Instagram: così Irma Testa entra nella polemica su Imane Khelif

Irma Testa ha pubblicato una storia sui social, poi sparita, in cui ha "indossato" una barba finta con un filtro Instagram

Con la barba su Instagram: così Irma Testa entra nella polemica su Imane Khelif
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Non smette di far discutere l'incontro di boxe che oggi ha visto contrapposte Angela Carini e Imane Khelif. L'italiana, dopo meno di un minuti dall'inizio dell'incontro, ha deciso di lasciare il ring: troppo forti i colpi dell'avversaria per continuare a combattere. Ha preferito preservare la propria incolumità piuttosto che rischiare di farsi davvero male. E nonostante i campioni di sollevamento di lattina sul divano di casa che oggi dicono che questa è la boxe e che l'atleta della Polizia di Stato ha sbagliato sport se non sa incassare un pugno, era evidente sul ring la differenza fisica tra i contendenti. Khelif è stata bandita dal circuito mondiale perché incompatibile con il circuito femminile, eppure è stata ammessa dal CIO, che nel 2021ha modificato i suoi parametri per essere più inclusivo. Irma Testa, la più grande pugile italiana in attività, oggi ha pubblicato una storia social che pare sia proprio una risposta a quanto visto sul ring.

Utilizzando un filtro di Instagram, la boxeur ha applicato sul suo volto una barba, poi ha tolto gli occhiali e fatto l'occhiolino. Quel che si contesta a Imane Khelif è l'eccesso di testosterone, oltre alla presenza di cromosomi XY, che biologicamente la identificano come maschio. Probabilmente l'atleta algerina è affetta da una patologia e la disfunzione ormonale non è una sua responsabilità ma non può nemmeno ricadere sulle avversarie, costrette a subire pugni sferrati con una potenza non compatibile con il circuito femminile. E si è visto anche oggi nell'incontro con Carini, che non si può certo dire sia un'atleta senza esperienza e incapace di ricevere pugni durante regolari incontri.

Intanto Khelif esulta: "Al popolo algerino dico che farò di tutto per farlo festeggiare e proverò a vincere l'oro". La responsabilità non è nemmeno dell'atleta, perché nel momento in cui il CIO dà il via libera alla sua partecipazione, è giusto che abbia preso parte alla competizione. I problemi sono a monte, nella mancanza di criteri omogenei di controllo e di ammissione alle gare olimpiche.

Se, come è stato detto, i vantaggi di un atleta che ha evidenti variazioni ormonali rispetto alle avversarie sono meno importanti dei criteri di inclusione, che senso ha continuare a dividere le competizioni tra maschili e femminili?

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