Desiderio contro ossessione, visionarietà contro arroganza

Occorre rimodularle, aggiornandole, le categorie del vivere umano.

In un'epoca che dopo aver delegittimato le virtù ha screditato persino i vizi, occorre rimodulare, aggiornandole, le categorie essenziali del vivere umano. Virtù cardinali e teologali, vizi capitali e peccati carnali, peccati&virtù letterarie: come quelle ri-scritte da Giorgio Scerbanenco negli anni '60. E oggi? Quali sono le disposizioni d'animo, volte al Bene e al Male, in epoca di pandemia e pandemonio? Ecco sette nuove possibili virtù e altrettanti probabili vizi.

VIRTÙ

SILENZIO Proverbialmente vale oro, ma in tempi di avvelenamento sonoro è un diamante. Se certe coppie urlassero meno. Se certi scrittori scrivessero meno. Se certi amici si lamentassero meno. Se certe tv trasmettessero meno. Se certi politici parlassero meno. Il silenzio aiuta ad ascoltare invece di parlare. A leggere invece di scrivere, a pensare invece di promettere, a fare invece di fingere. Silenzio è dire: «No, grazie». Prima di tutto a se stessi.

DESIDERIO L'opposto dell'ossessione. È il cercare il necessario alle nostre esigenze, ai nostri gusti, alle nostre aspirazioni. Niente di meno, niente di più. È capire ciò che basta. Il volere ciò che non ci spetta è un tormento, il pretendere è infelicità. Invece il desiderio è la realizzazione di una giusta ambizione. L'aspirazione riconosciuta. È il sogno che, una volta, diventa realtà. Lasciando gli incubi ai demoni e tenendoci gli dèi.

EDUCAZIONE Che non vuol dire «buone maniere», ma formare le conoscenze, le competenze, le capacità. Serve un'educazione allo studio: per sapere prima di parlare. Un'educazione al desiderio: per capire cosa è giusto volere e cosa no. Un'educazione al sacrificio: per imparare cos'è la preparazione, l'esperienza, il lavoro. Un'educazione alla Bellezza: per accettare che non tutto ciò che si definisce «arte» è bello, o «naturale» è buono, o «di sinistra» è giusto. E un'educazione civica: per distinguere ciò che è bene per la comunità da ciò che è utile per sé.

CONSAPEVOLEZZA Per discernere ciò che è reale da ciò che è immaginario, l'autentico dal virtuale, il fatto dal fake, l'essenza dalla suggestione. Significa imparare a distinguere la politica dallo show, la concretezza dal superfluo, l'essenziale dall'optional, il Paese reale - fatto di sangue, lacrime e dolore - dal mondo perfetto che vorremmo: oltre gli studi televisivi, fuori dai social e dalle Ztl, al di là degli incantanti Boschi Verticali c'è la realtà. Ed è una foresta.

SEMPLICITÀ Che non è l'opposto di complessità - un'altra virtù - ma di manipolazione, cavillo, artificio, arzigogolo, burocrazia, ridondanza. Nella vita civile è rispondere al telefono invece che dare una mail, è fidarsi sulla parola senza cento password. Nell'informazione è un fatto provato invece di dieci opinioni. Nell'arte è un'unica emozione invece di mille furberie. In politica è rispettare un impegno invece che vendere retorica. Nella vita privata è il ridurre il dovere e riservarsi il piacere. Si chiama felicità.

FISICITÀ L'anima senza corpo è solo filosofia. Fisicità è il bambino che ha bisogno di appoggiarsi su un banco, di toccare un pallone, di abbracciare un amico, di picchiare un compagno; è l'uomo che lavora, gioca, ama. In un'epoca di distanziamento e paura dell'altro, occorre riappropriarsi dei corpi, del tatto, dell'animalità. Le reti elettroniche hanno sostituito quelle personali. La presenza è a distanza. In assenza di voci impazzano i vocali, non scambiamo pareri ma riceviamo comunicazioni. Non stringiamo mani, ma ce le laviamo. Il resto è dad.

VISIONARIETÀ È la capacità di pensare a un futuro migliore senza per forza essere progressisti. È il contrario di cecità, mediocrità, piccinerie, limitazioni. È il lusso invece della spending review. Visione significa avere il coraggio di inoltrarsi in mondi nuovi, spiazzanti, persino sconvenienti. Significa puntare al di là del presente, sfondare il proscenio, pensare in grande, rischiare, immaginare le città di domani da prospettive inedite, e immense, non con le piste ciclabili e i monopattini. Una virtù raccomandata a tutti, ma soprattutto alle due caste peggiori del Paese, i politici e gli intellettuali, così accartocciati sul presente, così egoisti, così sparagnini, così miopi. Così egoisti. L'immaginazione è potere.

VIZI

CONFORMISMO Nasce dal perbenismo e si rafforza nel neomoralismo. Le sue degenerazioni intellettuali si chiamano politicamente corretto, cancel culture, identity politics: aberrazioni che lo trasformano in oscurantismo. Il conformismo è la forza dei deboli, i quali aderiscono con deferenza e senza critiche alle opinioni e ai gusti non della maggioranza, ma dell'intellighenzia, che notoriamente è minoranza. È la furia dell'aver ragione che fa sentire più buoni, più giusti, più colti, più umani. Perché tutti gli uomini sono uguali. Ma alcuni sono più umani degli altri.

SOCIAL(ITÀ) Che sarebbe una virtù, se non ci fosse il digiale di mezzo. È un upgrade del neo-narcisismo mediatico. È la voglia di stare sempre in scena, online, «Do you like?», qualsiasi cosa si faccia, dica, pensi. Pronome personale di riferimento: IO. Aggettivo possessivo: MIO. Non c'è pudore né vergogna né barriera. La malattia diventa pubblica, il selfie vale anche dal letto d'ospedale, devi dire «Io ho fatto il vaccino», «Io ho vinto il cancro», «Io ce l'ho alla prostata», «Hai visto le mie tette?». Anche il crimine o l'errore sono ottimi pretesti per un post. Discrezione, riserbo, ritegno: non ci stanno nello schermo dello smartphone. Più il web ci dà fama, più ne abbiamo fame.

ODIO È ciò che dà identità per negazione. È l'essere, essendo contro. «Io sono ciò che odio». Per avere un'idea, devo avere un nemico. Per far parte di un gruppo, devo condividerne le ossessioni. Per vincere, devo annientare. Le uniche parole che conosco sono offese. Gli unici libri che scrivo, sono contro. Affinando le categorie del politico di Carl Schmitt, l'odio trasfigura l'avversario non in semplice nemico, ma in mostro. E più odio, più sono forte. Più voglio essere forte, più devono essere i nemici: veri, presunti, immaginari. L'odio è il vizio che si fa virtù odiando il mio nemico: combattere il Male è automaticamente Bene. Niente pars costruens, solo pars destruens. Io sono perché distruggo. «Odio ergo sum».

(IN)FEDELTÀ Vizio infido, perché i peggiori traditori sono coloro che millantano di essere persone di cuore. L'imperativo è essere fedeli, a se stessi. Mancano la lealtà a un'idea, la sincerità verso una persona, la dedizione a un progetto, la fede in un Dio. Trionfano la diffidenza verso l'altro, il tradimento seriale, la comunicazione manipolata. In amore il tradimento si dice botta di vita. In politica «responsabilità». Sul lavoro pressapochismo. In amicizia slealtà. Il tradimento è diventato un semplice cambiamento. Tradire è la nuova (in)fedeltà: virtù da cui vogliamo essere esentati, ma a cui obblighiamo tutti gli altri.

DISSACRAZIONE Tutto è degno di protezione: le minoranze, le donne, la salute, la natura, il diritto alla morte (più che alla stessa vita). Niente è con-sacrato. La Chiesa è diventata un prolungamento dell'Onu. Si rispetta il diverso, si dimentica l'Uomo. Dal sacro al ristoro: si concede consolazione, conforto, sollievo. E si annacquano i dogmi. Non si promette più Salvezza, basta un mondo più green. Si smarriscono valori, tradizione, gerarchia, autorità. Non ci si pongono più problemi teologici, al massimo ecologici.

DOVERISMO Sentirsi sempre in dovere di parlare anche a chi non ha voglia di ascoltare, di predicare la bontà con animo cattivo, di essere presenti quando nessuno lo ha richiesto, di dire la propria quando non si hanno titoli per farlo, di dare consigli quando si è i primi ad averne bisogno. È il dover andare per andare, il farsi vedere per vedere, il parlare di qualcuno per parlare di se stessi. È un iperattivismo che si trasforma in immobilità, un agitarsi senza approdare ad alcuna sponda. È il dovere che ammazza il piacere. L'obbligo, non richiesto, che azzera ogni scelta. È l'esserci troppo per poter essere ancora capaci di essere qualcuno.

ARROGANZA È quando il responsabile di un danno, o di un crimine, esibisce la propria superiorità di fronte a chi senza colpa ne ha subito le conseguenze. È l'amministratore che non deve giustificare lo spreco di denaro pubblico.

È il politico non eletto che vuole insegnare la democrazia agli elettori. È l'incapace che vuole dare lezioni agli esperti. È il delinquente che ci fa la morale. Il giornalista che dopo averle sbagliate tutte ti spiega come va il mondo. Si può peccare, certo. Ma senza predicare.

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