Esiste un film in cui, dentro, puoi trovare La carica dei cento e uno in salsa action-splatter, frammenti di vecchi film degli anni Trenta di Tod Browning, il tocco magico di Nikita, o di Léon, e un Joker (versione Joaquin Phoenix), folle e traccatissimo, su una sedia a rotelle?
Sì. S'intitola Dogman, lo ha girato Luc Besson e lo interpreta, magnificamente, l'attore americano Caleb Landry Jones. È in concorso a Venezia. E in sala, in tutte le proiezioni, è piaciuto moltissimo.
Esergo: «Dovunque ci sia un infelice, Dio invia un cane». E la storia, nata quando il regista legge su un quotidiano l'articolo su una famiglia francese che ha rinchiuso in una gabbia il proprio figlio all'età di cinque anni, è quella di Douglas, un ragazzo che durante l'infanzia viene costretto a vivere con i cani allevati per i combattimenti da un padre violento e senza scrupoli. Il trauma, che gli resterà addosso per sempre, lo porta a sviluppare un attaccamento viscerale per i cani, tra i quali trova la fedeltà e la protezione che gli uomini non sanno dargli. Il ragazzo cresce solitario, studia, recita, trova lavoro in un locale queer, sceglie di vendicare un torto subito da altri. Travestitismo, filosofia, teatro, rivendicazioni di giustizia sociale, sangue, fede, tragedia shakespeariana. Si fa fatica a staccare gli occhi dallo schermo.
«Ho cercato di riflettere su che cosa puoi diventare se ti accade ciò che succede a Douglas da piccolo - ha spiegato Luc Besson -. Diventi un terrorista o Madre Teresa?». Del resto il cinema è una risposta immaginaria a una domanda reale.
Da segnalare, a parte l'interpretazione di Jones, quella dei
25 cani, di razze diverse, che «recitano» sul set, ognuno con il proprio addestratore, e soprattutto con il proprio ruolo. «Avevano un camper tutto per loro ed erano delle star», ha detto il regista. Il cast è eccellente.
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