John Elkann e i suoi fratelli, con tutti i loro parenti, risultano pieni di soldi, come suggerisce l'ultimo bilancio della cassaforte della discendenza Agnelli, la Exor. Non mi spiego altrimenti il sussiegoso rispetto di cui, specie a sinistra, costoro godono con tutta la casata. Magari si spera che da quel forziere olandese (l'hanno spostato da Torino ad Amsterdam) caschi qualche doblone d'oro a premiare la protezione esercitata quasi con tenerezza da giornali, tivù, sindacati e progressisti eco-tecnologici che accompagna gli ormai quasi cinquantenni rampolli dell'Avvocato. Certo se ne trova notizia qua e là, impossibile evitarle, qualcuna approda anche sulle prime pagine, ma sono tenute separate, non suscitano movimenti d'opinione, campagne mediatiche, commissioni d'inchiesta sul passato di gigantesche donazioni che tennero in piedi un impero nutrito dal sangue del popolo bue. Linguaggio volgare e populista, lo so. Ma credo che la gran parte dei concittadini la veda così.
Sono ricchi? Ma certo. Nei primi sei mesi del 2024 l'utile della Ditta di cui John è amministratore delegato è «volato» titola con prosa alata la Stampa di sua proprietà- a 14,7 miliardi di euro. Mica male. Ma allora com'è che la percezione sussurrata e che spiffera dietro le porte del potere è che questo forziere gonfio di bigliettoni navighi su una nave di lusso ma che fa acqua da tutte le parti, senza che nessuno osi scalfire l'immagine dei più belli del reame? La sequenza di fallimenti morali con riflessi tribunalizi in casa e di tracolli editoriali, e di borsa nei settori sportivi e dell'«automotive» (la filiera dell'auto) lo attesta. Provo a metterle in fila in un unico conteggio, perché deriva dalla stessa sorgente che appare piuttosto catramosa, coperta con il velo di fumo azzurrino di futuri investimenti immaginifici, mentre chiudono le antiche fabbriche Fiat chiamate ora Stellantis, come lo stellone di cui per decenni ha goduto la stirpe la cui sorte veniva fatta coincidere con l'Italia.
In breve. 1) John, Lapo e Ginevra sono sottoposti a sequestri di beni mobili e immobili per circa 80 milioni di euro. Evasione della tassa di successione e truffa, due distinti filoni giudiziari che li vedono indagati e per cui certo vale la presunzione di innocenza. Ma a quanto pare questa non vale per la non indagata madre Margherita, figlia di Gianni, la quale è stata trattata come una matta perché ha svelato altarini svizzeri suppostamente edificati giocando con le residenze di Marella, vedova di Gianni, madre e nonna dei litiganti, molto malata, e che figurava residente nei cantoni elvetici per evadere le tasse. Ma forse era una bugia. 2) In questi giorni John Elkann, presidente di Gedi, padrona di La Repubblica e La Stampa, ha cambiato il direttore del quotidiano fondato da Scalfari, sostituendo Maurizio Molinari con Mario Orfeo, dopo uno sciopero contro l'esagerata pretesa di invadere il giornale con il convegno di John Elkann sull'Intelligenza Artificiale glorificato da La Stampa. Diciamo che i due quotidiani sono espressione massiccia e sistematica dell'opposizione mediatica al governo Meloni, fornendo la spalla a Elly Schlein. Gedi l'ultimo anno ha perso 103 milioni di euro, e di sicuro la crisi dell'informazione è generale. 3) La Juventus è quotata in borsa, ha costretto gli azionisti a fare i conti con crolli in borsa e ricapitalizzazioni. 4) Stellantis, di cui Exor è il maggiore azionista, e ha consegnato il suo destino alle auto elettriche, contraddicendo le scelte di Sergio Marchionne, scomparso sei anni fa, sta cadendo in Borsa, è sotto schiaffo sindacale in America, e cerca disperatamente alleati.
Da dove viene la floridità di Exor dei primi sei mesi? Dalla Ferrari, da altri investimenti, dal trascinamento dell'età dell'oro regalata alla Fiat da Marchionne, voluto da Gabetti, lo stesso compianto genio finanziario che ha confezionato la cassaforte di famiglia. I due eroi che li salvarono non ci sono più. E hanno lasciato gli Elkhann con i loro sogni suggestivi spalmati sulla dura realtà, insensibile al loro fascino. Finora i tre fratelli si sono dimostrati più belli che bravi. In questo somigliano al nonno.
Non che il nonno avesse un tocco fatato. Salvo, beninteso, che con le numerose signore e signorine, fuori del campo delle patate, Gianni Agnelli
ha fatto danni dovunque abbia messo le delicate mani. In famiglia, che nella vita di un uomo è la cosa che più conta, e nelle sue aziende, l'Avvocato ha lasciato rovine. Con la sua elegante guida, la Fiat, lasciatagli come un gioiello da Valletta, andò presto fuori strada: la salvò, trascinandola fuori dalla tempesta escrementizia, una carovana di beduini guidati da Gheddafi che ne ripianò i debiti. Successivamente ci pensò lo Stato ad accollarsi le perdite e a finanziare gli investimenti, consentendo all'amico di Kissinger e di molte signore di mettersi in tasche svizzere utili giganteschi, oltre che a Telecom, banche varie e Corriere della Sera, sempre con i denari degli altri. Alla sua morte il fallimento Fiat era un evento considerato sicuro, mentre Torino e la sua stessa famiglia venivano desertificate. La sua discendenza si è ritrovata in una palude di risentimenti, un ragazzo suicida dopo essere stato trattato come un mentecatto e abbandonato, frantumazione di affetti, John trasformato grazie all'adozione in figlio per garantire la fetta grande della torta.
John come il nonno e padre putativo Gianni. Con una differenza mica da poco. Non pare che il governo attuale abbia alcuna intenzione di sistemare i guai di Casa Agnelli-Elkann come vollero e fecero per decenni con l'Avvocato sindacati e governi di centrosinistra, poi quelli di solidarietà nazionale, le rottamazioni di Prodi e poi i governi tecnici.
Tanto da elevarlo persino al rango di senatore a vita, per rafforzargli l'immunità e l'armatura di intoccabilità che gli garantirono il nugolo di prezzolati cicisbei perennemente in brodo di giuggiole per le sue battute cretine e le telefonate alle sei del mattino. Io dormivo.
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