Una storia incredibile quella che vede come protagonista un pensionato di Maerne (Venezia) che si è visto chiedere indietro dall'Inps ben 17.106 euro per aver svolto un lavoretto da 518 euro. Il caso è finito alla Corte dei Conti, che ha invece dato ragione all'uomo.
Il caso
Tutto è cominciato quando il 65enne di Maerne, titolare di quota 100 e con una pensione di 1.200 euro al mese, ha deciso di arrotondare svolgendo un lavoretto. Si trattava di un impiego da dipendente, svolto durante il periodo di tempo compreso fra 21 marzo e il 30 giugno, che fruttava all'uomo 518 euro al mese. La vicenda è quindi finita sotto la lente d'ingrandimento dell'istituto di previdenza sociale, che ha deciso di bloccare le mensilità di novembre e dicembre, oltre che chiedere indietro ben 17.106 euro, ossia il denaro percepito nell'anno 2023. Ovviamente la vicenda ha generato polemica.
Il pensionato ha cercato di spiegare le proprie ragioni, affermando di aver agito in buona fede. L'uomo era infatti convinto che quota 100 fosse comulabile con redditi fino a 5mila euro lordi l'anno. Da qui il ricorso d'urgenza con richiesta di sospensiva alla Corte dei Conti di Venezia. Secondo l'uomo, l'Inps avrebbe proceduto con una irragionevole applicazione della norma. "La gravità sta anche nell’aver tolto ogni mezzo di sostentamento: lo stesso assegno sociale è impignorabile. E la contraddizione normativa consiste nel consentire ai titolari di quota cento di svolgere occupazioni occasionali col limite della percezione massima di cinquemila euro ma solo per lavori autonomi, penalizzando immotivatamente il lavoratore subordinato che, sempre occasionalmente, ma da dipendente, percepisca comunque meno di cinquemila: di qui anche la confusione della norma", aveva dichiarato il 65enne mediante il suo legale, come riportato da Il Gazzettino.
Lo scorso 8 gennaio, il giudice Elisa Borrelli aveva accolto l'istanza cautelare, in riferimento alle "modalità di applicazione da parte dell'Inps della normativa e con riferimento al calcolo del debito complessivo a carico del ricorrente, comprese le trattenute sulle mensilità 2023 che non risultano nemmeno effettuate nei limiti del quinto". "L'entità della somma da recuperare, in relazione al trattamento pensionistico percepito, risulta pregiudizievole, anche a fronte delle necessità di garantire il soddisfacimento dei bisogni primari di questa persona", aveva aggiunto il giudice, disponendo non solo il ripristino della pensione, ma anche la sospensione del provvedimemto di recupero dei 17.106 euro.
La sentenza
Il giudice ha quindi riconosciuto la violazione del divieto di cumulo, come previsto dalla norma, ma, al contempo, ha stabilito che l'interpretazione dell'Insp "non trova fondamento normativo e risulta eccedente rispetto alla previsione dell'incumulabilità". Questo perché quando l'attività di lavoro dipendente ha una durata inferiore a un anno, la normativa che stabilisce la non cumulabilità deve essere applicata solo relativamente al periodo di tempo in concomitanza fra pensione e lavoro.
In conclusione, il pensionato è tenuto a restituire il denaro percepito fra il 21 marzo e il 30 giugno. L'Inps dovrà invece elargire le mensilità che aveva sospeso, e non potrà chiedere indietro i ratei relativi all'arco temporale in cui l'uomo non ha svolto attività lavorativa.
"La Corte dei Conti ha convenuto sull'erroneità della pretesa dell'Inps di trattenersi la pensione di un anno intero, il pericolo di doverla restituire tutta è scampato, rideterminando la sanzione per il solo periodo in cui il mio cliente è stato assunto, anche se resta sproporzionata: perdere tre mensilità per poche centinaia di euro è ingiusto. Alla luce di tutto questo valuteremo se proporre appello", ha dichiarato a Il Messaggero il legale che difende il 65enne.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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