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Alfasud, la bella e fragile di Pomigliano d'Arco

L'Alfasud è l'auto più venduta nella storia del costruttore italiano, ma ha dovuto attraversare molte peripezie per affermarsi e combattere con difetti perigliosi

Alfasud, la bella e fragile di Pomigliano d'Arco
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Siamo sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso, in tutto il mondo si alternano lotte, scioperi e rivendicazioni. Le popolazioni mondiali sono incendiate da un sacro fervore per ottenere qualcosa di più, e di migliore, rispetto a quanto avuto sino a quel momento. Milioni di persone danno vita a manifestazioni, cortei e adunate di massa. Le rivoluzioni sociali e di costume di quel periodo sono balzate inevitabilmente nei libri di storia. Parlando di automobili anche quella che ha determinato la genesi dell'Alfasud possiede tutti i connotati di una vera rivoluzione, per due motivi: primo, l'Alfa Romeo non aveva mai realizzato una compatta (per di più a trazione anteriore); secondo, per questa nuova macchina venne innalzata una nuova fabbrica nel cuore del Mezzogiorno d'Italia, per la precisione a Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli. La scelta di collocare la produzione dell'innovativa berlina a due volumi nel sud dello Stivale fu agevolata dallo Stato, che promise importanti fondi a tutte quelle aziende che avrebbero portato avanti l'industrializzazione in un'area geografica che arrancava a modernizzarsi. Impresa difficile per chiunque, anche per un costruttore a partecipazione statale come il Biscione.

Genesi di un progetto ambizioso

Il presidente dell'Alfa Romeo Giuseppe Luraghi richiama al Portello lo specialista austriaco Rudolf Hruska, dopo i successi della Giulietta, per affidargli le chiavi del progetto tecnico della nuova berlina compatta da costruire nello stabilimento campano, coadiuvato dall'altro tecnico dell'Autodelta, Carlo Chiti. Per l'Alfasud viene scelta una meccanica raffinata e sofisticata, che - per la prima volta nella storia del marchio - si affida a un motore boxer 1.2 litri con 4 cilindri contrapposti e raffreddato ad acqua, da 63 CV a 6.000 giri. Lo stile, invece, viene affidato a Giorgetto Giugiaro della Italdesign, che riesce a confezionare un'auto grintosa e garbata dalla linea snella e filante, il cui segreto è un abitacolo spazioso e comodissimo.

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Hruska, molto alto, voleva che tutti quanti al volante di un'Alfasud si trovassero a proprio agio, compresi quelli seduti dietro. La vettura viene presentata al Salone di Francoforte del 1971 suscitando un grande clamore, ma del tutto positivo. I tecnici e gli addetti al lavoro sono estasiati dalle doti stradali della piccola Alfa, che brilla per tenuta e prontezza del motore. Presto, però, qualche guaio sarebbe saltato fuori.

Ruggine e difetti di assemblaggio

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La doverosa premessa, a parziale giustificazione delle magagne sofferte dalle prime Alfasud, è il contesto socio-culturale nel quale questa macchina prende forma. Gli innumerevoli e consistenti scioperi degli operai di Pomigliano d'Arco, insieme a radicate forme di assenteismo e, soprattutto, a una povera conoscenza delle quattro ruote di un nutrita frangia della manodopera, verificò l'immissione sul mercato di numerosi modelli con assemblaggi scadenti in cui nemmeno i bulloni venivano avvitati. Il problema maggiore, tuttavia, era la ruggine, che si formava ben presto sui parafanghi, passaruota e altre zone sensibili dell'auto. Le lamiere non venivano zincate e la leggenda afferma che venissero lasciate all'aperto, a contatto con l'aria salmastrosa di Pomigliano, poi montate già guastate su automobili nuove. Il danno d'immagine fu notevole per un'auto formidabile su strada e che costava nel 1972, la bellezza di 1.420.000 lire.

L'Alfasud si rinforza e allarga la propria famiglia

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Nel 1977 l'Alfasud si rifà il look e soprattutto mette una toppa ai problemi che l'hanno caratterizzata nella prima generazione. La carrozzeria viene finalmente trattata con lo Zincrometal, che si rivela un prezioso alleato contro l'ossidazione e la ruggine delle sue parti più sensibili. Nel frattempo, l'estetica fa un balzo verso la modernità che comprende un uso più massiccio della plastica, che fa capolino tanto all'esterno (con una nuova mascherina e dei paraurti integrati di celluloide) quanto all'interno. Nel 1973, invece, esordiva la versione a tre porte (Ti - Turismo Internazionale) che assumeva un carattere più sportivo senza dimenticare la praticità. Nel frattempo, escono anche la Giardinetta, la familiare tutto fare, e la Sprint, la coupé dai tratti che - odiernamente - chiameremmo fastback e che piacque ai clienti dal "Cuore Sportivo".

L'Alfa più venduta di sempre

Dopo tre generazioni, l'Alfasud si congeda nel 1984 per lasciare spazio alla 33, che è la sua erede diretta e alla quale trasmette sia la meccanica che i motori boxer. Nonostante i difetti iniziali, l'Alfasud è stata figlia di un progetto ambizioso e grande, che comunque ha portato i suoi frutti, sia all'industrializzazione del Mezzogiorno che all'Alfa Romeo. La compatta riesce a entrare nella storia del Biscione visconteo grazie a 1 milione e 17 mila esemplari venduti, un risultato eccellente e straordinario. Nessun altro modello del costruttore italiano sarà in grado di avvicinarsi a quel numero mastodontico.

Oggi, che non è più oggetto di scherno e non si raccontano più episodi romanzati su di lei, come il ritrovamento di carte da gioco all'interno delle portiere, è un'Alfa da collezione con la sua nutrita schiera di appassionati pronti a salirci a bordo orgogliosamente in ogni occasione.

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