Nello scrigno dei ricordi di chi ama le quattro ruote bussa forte e in modo doloroso, quanto un dente cariato, una pagina di storia che, all'apparenza, poteva assomigliare a un'occasione d'oro da cogliere al volo, ma che, col senno del poi, si è rivelata un flop fragoroso. Nella testa di ogni appassionato di Alfa Romeo risuona con il suo jingle seccante uno slogan pubblicitario tanto azzardato quanto penetrante: "Arna. E sei subito Alfista". Questo veniva annunciato nella televisione italiana da un sedicente rivenditore del Biscione intento a promuovere la propria compatta come la via d'accesso migliore al prestigioso mondo delle vetture di Arese. Una promessa reale, perché con appena 9.980.000 lire, nel 1984, ci si poteva portare a casa e chiavi in mano un nuovo modello dell'Alfa Romeo. Dove sta il peccato originale che ancora aleggia sopra all'Arna, tanto che un sondaggio di alcuni anni fa l'ha relegata a peggior auto della storia? Semplicemente il fatto di essere un'Alfa solo a metà e di aver preso in giro una comunità innamorata e inflessibile come quella degli alfisti.
La joint venture Alfa-Nissan
Nel 1980 viene siglato in pompa magna a Tokyo un accordo storico: da una parte c'è l'italiana Alfa Romeo e dall'altra la giapponese Nissan. È la nascita di una joint venture tra due importanti realtà dell'automobilismo, con il Biscione che assume il ruolo della grande tradizione europea delle quattro ruote, puntando sulla passione e le emozioni da sviscerare al volante, mentre Nissan ha il compito di conferire affidabilità, tecnologia e modernità alla sua controparte. Questo fatto di per sé ha un significato epocale, perché le sinergie tra due colossi dell'auto agli inizi degli anni '80 sono del tutto inconsuete, per non dire inedite. Dunque, legare le vicende aziendali di queste società ha le sembianze di una strada lastricata d'oro, perché il piatto piange per le casse dell'Alfa Romeo ancora di proprietà dell'IRI, mentre la Nissan trova nella Casa di Arese il grimaldello ideale per penetrare nel mercato del Vecchio Continente, nel quale le vetture del Sol Levante non hanno ancora attecchito. Il primo step del programma di sviluppo passa attraverso la fondazione di un nuovo stabilimento a Pratola Serra, in provincia di Avellino, nel quale dovrà prendere vita il modello figlio dell'alleanza italo-giapponese. L'auto si chiamerà Arna, acronimo di Alfa Romeo Nissan Automobili.
Strada in salita per l'Arna
Il mercato traccia la strada, infatti la sensibilità dell'automobilista medio è indirizzata verso le compatte come la Volkswagen Golf o la Fiat Ritmo. L'Alfa Romeo, in quel segmento, propone l'Alfasud ma è un modello che conta già troppe primavere sulle spalle e mancano le risorse finanziarie per concentrarsi sullo sviluppo di una sua erede, che sia - soprattutto - nuova di sana pianta. L'Arna è la migliore opportunità che si dipana all'orizzonte, perché la Nissan offre la carrozzeria, il retrotreno, gli interni, la plancia e i sedili della sua Cherry, mentre al Biscione tocca trapiantare sotto al cofano il motore boxer 4 cilindri 1.2 da 63 cv, la trasmissione e il suo magico avantreno. Quella che sulla carta sembra una soluzione semplice, in realtà si rivela complessa. Le scocche provenienti dal Giappone sono solide e robuste, non hanno gli atavici problemi di ruggine che tormentano le Alfasud, tuttavia, inserirci dentro la meccanica made in Alfa è operazione complessa: servono delle modifiche al telaio e degli interventi invasivi alla carrozzeria. Tutto ciò genera ritardi e aumenti dei costi preventivamente non calcolati. La prima occasione per mostrare l'Arna al pubblico è nel 1983, al Salone di Francoforte, in ritardo di dodici mesi rispetto ai programmi. L'accoglienza è a dir poco tiepida, per non dire di peggio. Gli appassionati del Marchio italiano, famoso per vetture dal design seducente e ammiccante, rimangono sconvolti dalla linea grezza, squadrata e scolastica dell'Arna, che, inoltre, presenta degli interni spartani e spogli come quelli di un'automobile da "cortina di ferro". Che fine ha fatto lo stile del Biscione? Rispetto a una Nissan Cherry, l'Arna differisce solo per una calandra con il fregio del brand milanese e per uno stemma appiccicato sul portellone posteriore. Troppo poco.
Un fallimento annunciato
Le aspettative dei vertici dell'Alfa Romeo, così come quelle di Nissan, sono a dir poco ottimistiche: vendere 60.000 unità soltanto nel primo anno. Peccato che l'Arna fermerà le sue immatricolazioni, dal 1984 al 1987, ad appena 53.000 esemplari totali. Un fallimento epocale, che di fatto ha tagliato le gambe alla joint venture tra Alfa e Nissan, ma che ha nuociuto soprattutto all'immagine della Casa italiana che per tanto tempo è stata tormentata dal mito nefasto dell'Arna. Eppure, sotto sotto, le sue qualità quella macchina ce l'aveva. Girando la chiave si poteva restare incantati dal motore boxer, col suo inconfondibile ruggito, poi - dinamicamente parlando - l'Arna aveva tutte le caratteristiche positive di una puro sangue del Biscione: bell'ingresso in curva, ottima tenuta di strada e repentine accelerazioni. Il suo problema principale è stato quello di un'estetica fuori dal gusto degli italiani e degli europei, ancora indifferenti al richiamo giapponese.
Rispetto all'Alfasud, l'Arna poteva contare su un'affidabilità maggiore e soprattutto sulla cura dei lamierati resistenti alla ruggine. Oggi, la tribù degli alfisti l'ha perdonata e, anzi, l'ha riscoperta. Finalmente anche lei ha trovato la pace e la sua collocazione nel grande libro del Biscione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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