Mauro Forghieri, la storia di “Furia” tra il genio e la follia

A destra, Forghieri nel 1978 sulla vettura di Reutemann
A destra, Forghieri nel 1978 sulla vettura di Reutemann

Auto, motorsport, persone, Formula 1 e momenti di sana follia. Questo e molto altro è “Furia”, il soprannome dato ad uno degli ingegneri più importanti della storia di Ferrari. Mauro Forghieri si è spento il 2 novembre 2022, dopo una lunghissima carriera costellata di successi e colpi di genio che hanno determinato la crescita e lo sviluppo di alcune delle auto più iconiche per la casa di Maranello, nonché del Reparto Corse. Anni d’oro, quelli di Ferrari, sotto al suo occhio vigile e al suo carattere forte – spesso accusato di essere troppo rigido, inflessibile, intransigente – ma era un personaggio polarizzante, odi et amo, uno di quelli che, di certo, non possono che lasciare il segno. Mauro Forghieri nasce a Modena il 13 gennaio del 1935 e si può dire che l’influenza del cavallino di Maranello facesse parte, fin da subito, del suo DNA. Suo padre infatti, Reclus Forghieri, lavorava già come meccanico specializzato in quel di Maranello. Sembrava trattarsi di un destino già scritto. Eppure Mauro, dopo la laurea in ingegneria conseguita all’Università di Bologna, è deciso a volare negli Stati Uniti, per lavorare in un’azienda produttrice di turbine aeronautiche. Il destino (come detto, già scritto, ndr) lo fece però arrivare fin da subito in Ferrari.

Infatti nel 1957, due anni prima del conseguimento della laurea, trascorse alcuni mesi tra le mura dell’azienda come stagista, facendo parte del percorso formativo inerente all’università. Nel 1960 poi, un anno dopo la laurea, Enzo Ferrari assunse Mauro come dipendente in ambito motori, nell’attesa della tanto desiderata chiamata da parte dell’azienda statunitense. L’attesa del sogno americano però svanì non appena il superiore di Mauro, Carlo Chiti, venne licenziato nella celebre “rivoluzione di palazzo” e lui stesso fu chiamato, nel 1961 a prendere il suo posto, come responsabile del reparto tecnico per le vetture da corsa. Aveva solo 26 anni. Il ’61 fu un anno di grande successo, vincendo il campionato del mondo con la Formula1 e nelle vetture Sport. Il ’62, per mancanza di competitività delle vetture, passò in secondo piano, mentre nel 1963 potè gioire della prima vittoria sotto alla sua guida, era il GP della Germania e al volante della monoposto era presente Surtees, lo stesso che l’anno successivo vinse il campionato Piloti a bordo della 158, affiancato dal giovane Lorenzo Bandini.

Mauro Forghieri

Il genio di Forghieri permise a Ferrari di avvantaggiarsi della tecnologia tubolare e pannelli rivettati per il telaio delle monoposto, soluzione che continuò ad assicurare alla Scuderia Ferrari elevate prestazioni e bassi costi di realizzazione, fino alla metà degli anni ’80. Lato sport prototipo, si dedicò dapprima sul progetto della 250 GTO, rivedendo la geometria delle sospensioni posteriori – tallone d’Achille della vettura - e poi concentrandosi sullo sviluppo di alcune vetture iconiche come la 250P, vincitrice a Le Mans nel 1963 con Bandini e Scarfiotti: per la prima volta, una vettura sport accolse il celebre V12 di Maranello dietro alle spalle del pilota, fu una grande rivoluzione. La crescita con Forghieri fu incredibile, passando da alcune vetture leggendarie come le 275 P e la 330 P. Alcuni cambi di regolamento, l’avvento di altri marchi importanti come Ford e Porsche e il sentore di una sempre più probabile crisi finanziaria, fecero vacillare il dominio Ferrari, accendendo la competizione e le battaglie, anche fuori dalla pista. Si arrivò così al 1965, anno in cui le celebri P2 (evoluzione delle 275 e 330) surclassarono la concorrenza - a causa anche di grandi problemi di affidabilità delle Ford GT 40. Quella del ’65 fu l’ultima vittoria a Le Mans di Ferrari. Nel ’66 si invertirono i ruoli.

La nuova P3 era l’auto più tecnologica, performante e sofisticata mai realizzata da Forghieri, con un’aerodinamica mai vista prima. Tuttavia, la scarsa affidabilità non permise a Ferrari di vincere a Le Mans (come si racconta anche nel celebre film “Le Mans 66”) e il campionato andò nelle mani di Ford. Le finanze erano sempre più strette ma Enzo e Forghieri non gettarono la spugna preparando, per il 1967, forse l’auto più famosa e conosciuta di quegli anni. Si tratta della magica P4, esteticamente simile alla P3 ma più leggera e resistente, con un telaio realizzato in alluminio, fibra di vetro e leghe alleggerite. Era stato sostituito il cambio, vero punto dolente della P3 e tutto questo portò ad uno dei più grandi trionfi del Cavallino, con la storica tripletta a Daytona. Alla prima gara d’esordio di quell’anno, la P4 tagliò il traguardo seguita dalla P3/4 e dalla 412 P con il tris di piloti Bandini, Scarfiotti e Amon. Durante un’intervista, Mauro Forghieri riassunse così gli istanti successivi a quello storico arrivo in parata: “Una gioia immensa”.

Forghieri
Il motore turbo tipo 021 della Ferrari 126 CK

Il mondiale del ’67 fu una serratissima lotta a quattro con Ford, Porsche e Chaparral, ma grazie all’evoluzione dell’auto durante la stagione, sempre ad opera di Forghieri, la P4 perse altri 50 kg, migliorò l’erogazione del magico V12 e riuscì a vincere il Campionato proprio all’ultima gara, la 1000 km di Brands Hatch, con soli due punti di vantaggio sulla Porsche 908. L’anno successivo, data l’estrema pericolosità della competizione, le elevate velocità e i frequenti incidenti gravi – proprio Bandini, pupillo di Forghieri, perse la vita nel ’67 al GP di Monaco - la FIA decise di ridurre la cilindrata a 3.000 cc, impedendo così alla P4 di parteciparvi, vanificando gli enormi investimenti di Ferrari per quel progetto. Enzo, ancora una volta, decise di ritirare le vetture dalla competizione per protesta. Negli anni successivi, l’avvento di Porsche rese complicata la vita a Ferrari e Forghieri e a nulla servì la nuova 312 P, dato lo strapotere della Porsche 917. A fine anni ’60 l’attenzione ritornò sulle monoposto di Formula 1, con la celebre 312 F1 che, nel 1968, scese in pista nel GP del Belgio con lo stravagante alettone atipico. Questa fu l’ennesima trovata geniale di Forghieri: come protesta verso un regolamento della FIA facilmente fraintendibile, ricco di aree grigie e dalla dubbia interpretazione, portò in pista la monoposto di Amon con una stravagante ala posteriore che gli consentì di ottenere subito un’importante pole position – situazione analoga a quella riproposta nel 1982 a Long Beach, con la celebre ala doppia sulla 126 C2 di Pironi.

Seguirono anni privi di successi per Ferrari e Forghieri, fino al 1972 dove la 312PB, ennesima creazione di “Furia” vinse il campionato prototipo. Fu l’ultimo successo della categoria per diversi anni, prima del mondiale F1 del 1975. Tra il ‘71 e il ‘73, diversi fatti portarono all’allontanamento di Forghieri dall’ambiente Ferrari, tra cui la malattia di Enzo, l’acquisizione di Fiat e gli scarsi successi in F1. Negli anni lontani dalla pista, Mauro lavorò al progetto della 312 T, la stessa che portò, con successive evoluzioni T2 e T3, ad una serie di trionfi in Formula 1, guidati proprio da un giovane e determinato pilota austriaco, proprio “quel” Niki Lauda. La 312 T era una creatura formidabile, grazie al geniale binomio tra il V12 “Piatto” e il cambio trasversale, sapientemente affidata nelle mani di Lauda, Scheckter, Villeneuve e altri. La “doppia corona” del 1979 con Scheckter e la T4 fu l’ultima conquistata da Ferrari, prima dell’era Schumacher. Con il 1980 la competitività di Ferrari diminuì e furono introdotti i famigerati propulsori turbo, lanciati pochi anni prima da Renault. I motori turbo di Forghieri iniziarono a dare i loro frutti solo nel 1981, con due vittorie all’esordio con Villeneuve e portarono alla vittoria del mondiale costruttori nel 1982 con la 126 C2, nonostante le tragiche morti del pilota canadese e del grave infortunio di Pironi.

Forghieri
John Surtees, Mauro Forghieri e la Ferrari 158 ai box del Nürburgring nel 1965

La C2 fu la prima vettura a rompere con la tradizione del telaio tubolare, a favore di un più tecnologico monoscocca a nido d’ape, chiamato anche honeycomb. Nel novembre del 1983 Forghieri è pronto a rassegnare le sue dimissioni, ormai non più in linea con la strategia del Reparto Corse Ferrari, nonostante le suppliche di Enzo per farlo rimanere. Chiude così la carriera a Maranello nel 1987 con ben 54 GP vinti, quattro titoli piloti e sette costruttori più le innumerevoli vittorie nel mondo dei prototipi. Seguirono alcuni anni in Lamborghini e poi anche in Bugatti, dove partecipò attivamente allo sviluppo della sensazionale EB110, la prima Hypercar stradale dell’epoca. L’ultima esperienza professionale di Forghieri fu in Oral Engineering – da lui fondata, assieme a Antoniazzi e Lugli - la stessa che collaborò dal 1996 al 2000 con BMW, per la realizzazione del celebre V10 di F1 che equipaggiò la monoposto del costruttore tedesco.

Dovevo essere così, se no non sarei mai riuscito a gestire dei piloti […] ho capito che mi dovevo dare un vestito, per interpretare quella parte, alcune volte anche urlando e sbagliando, probabilmente”, così Mauro si raccontò in un’intervista a Ruoteclassiche. Ciao Mauro.

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