Se si inserisce una vecchia e malconcia videocassetta all’interno di un videoregistratore per proiettare sulla televisione un filmato riguardante le vecchie glorie dei rally anni ‘70, lei la si riconosce subito: la Alpine A110 ha i connotati di colei che è stata baciata dal sole, perché è bella ed elegante, corta e stretta, bombata e al tempo stesso affilata. La berlinetta francese è stata una divoratrice di asfalto, un vero animale da gara, tanto amata dai piloti quanto dagli automobilisti in generale. Letale sui passi di montagna, sgusciante e imprendibile sul Col de Turini, divina sul tappeto rosso di una kermesse di eleganza. La A110 ha rappresentato al meglio il marchio di sportive transalpine con il suo nobile sangue, con la sua raffinata meccanica e con il suo palmarès da far invidia (titolo mondiale rally nel 1973). A referto esibisce lo scalpo di concorrenti sulla carta più blasonate, la A110 per questi motivi è un'icona. La conseguenza è che in tale maniera ha fagocitato con la sua immensa aura tutte le creazioni successive, facendo cadere nell’oblio i modelli che da lei hanno ricevuto una minima parte di eredità. Vero che nessuna è stata tanto bella e vincente quanto lei, ma la damnatio memoriae che hanno subito le sue dirette discendenti è un destino troppo crudele, addirittura eccessivo per delle vetture che meritano comunque di essere riabilitate ai posteri.
La A310: una granturismo sfortunata
Sulle ali dell’entusiasmo, l’equipe dei tecnici di Alpine sa che la A110 è un fenomeno da sfruttare, una gallina dalle uova d’oro che va coccolata fino all’ultimo secondo di vita, ma prima del suo inevitabile declino è necessario non mostrarsi impreparati. Grazie ai successi internazionali, Alpine è divenuto un brand sulla bocca di tutti, come sinonimo di sportività e di vittorie. Secondo questa ottica viene sviluppata e presentata la A310: è il 1971 e il palcoscenico è il Salone dell’Automobile di Ginevra. Una volta tolto il velo all’attesa new entry della famiglia, annunciata con anticipo come più sportiva dell’antecedente, arriva la sorpresa per tutti gli astanti perché quella che hanno di fronte è un prodotto diverso dall'auspicio; infatti, la neonata A310 è una gran turismo in piena regola. Condivide il telaio con la più vecchia GT4, ma ha il motore posteriore e la trazione sempre nel retrotreno. Lo schema è quello classico delle 2+2, mentre nello stile somiglia alla Lamborghini Miura o alla Monteverdi Hai 450 SS, con un profilo affilato e decisamente squadrato. Gli ammiratori della A110 sono storditi e francamente delusi, perché percepiscono che sotto all’elegante e, al tempo stesso, aggressiva veste, non c’è quella forza dirompente e quella sportività di cui si sono innamorati con la piccola regina dei rally. In poche parole, i potenziali clienti snobbano la A310 a piè pari. A rendere le cose ancora più difficili ci pensa la crisi petrolifera del 1973, che condiziona non poco gli esiti commerciali di un’auto che comunque ama le prestazioni.
Ed è tutto sommato un peccato, perché la A310 presenta delle soluzioni interessanti e insolite: in primis la concezione dei fari con tre unità non separate, a filo con il muso, collocati in 2 blocchi e incastonati dentro la vetrata, che fa il paio con le prese d'aria, inserite quasi a contatto con il parabrezza. Al posteriore il lunotto è a “tegolatura” proprio come sulla Miura. Il motore, invece, è l’elemento più debole del pacchetto perché si tratta di un 4 cilindri da 125 CV, che non convince più di tanto, perché mancano la sospirata brillantezza e quel mordente che tutti quanti si auguravano. Nel 1976 con il benefico passaggio nell’orbita Renault, arriva anche il propulsore che tutti agognavano all’esordio: uno spregiudicato V6 da 2,7 litri e 170 CV di potenza che lancia l’incompresa gran turismo a una velocità massima di 220 km/h. Gli esperti la mettono in competizione con la Porsche 911, ma il confronto tra le due è impietoso. Negli anni la vettura viene aggiornata, ma la sostanza non cambia: pur restando in commercio fino al 1984 e ottenendo varie migliorie per donarle una seconda giovinezza, il congedo arriva senza scalfire minimamente il ricordo della A110. A contribuire a questo fiasco ci hanno pensato anche i deludenti risultati ottenuti nelle varie categorie del motorsport a cui si è prestata. A conti fatti, l’errore maggiore della A310 è stato quello di aver illuso la clientela che lei fosse l’erede di un’auto irripetibile, perché in fondo questa gran turismo ha del fascino da vendere.
Alpine GTA, la scarna ma ambiziosa
La GTA (Grand Tourisme Alpine) nasce dalle ceneri della A310 e viene presentata a metà degli anni ‘80. Stilisticamente riprende le linee della sua genitrice, alla quale aggiunge quei tocchi distintivi tipici del suo periodo: carrozzeria in plastica e poliestere con paraurti integrati nella scocca. La volontà è quella di rivaleggiare con le possenti e raffinate gran turismo tedesche, a cominciare dalla Porsche 944, ma il difetto maggiore dell’Alpine sono le sue rifiniture: poco raffinate e scadenti. In più bisogna aggiungere un colossale declino a livello di immagine, i fasti della A110 sono solo un lontano e sbiadito ricordo, che nemmeno la GTA riesce a rinverdire in qualche maniera. Anzi, su di lei pende la spada di Damocle di essere scambiata semplicemente per una Renault che si vuol dare delle arie da snob, senza poterselo permettere. Eppure, il suo motore V6 (da 160 fino ai 260 CV della versione V6 Turbo, dalla velocità massima di 265 km/h), è un piccolo vanto anche sulla concorrenza più blasonata, inoltre, le soluzioni aerodinamiche e il suo peso ridotto la rendono molto rapida e godibile. Ma tutto questo, sommato a un prezzo di listino competitivo, non basta per farle avere un posto a sedere in paradiso. Il suo destino viene ulteriormente azzoppato dalla decisione di Renault di cessare con la propria presenza negli States a partire dal 1987, in quello che poteva essere per la GTA un terreno fertile dove attecchire. Nel complesso anche lei avrebbe meritato un fato migliore, ma le stelle quando si spengono raramente riescono a tornare luminose come un tempo.
Alpine A610, il canto del cigno prima della nuova A110
Nuovamente l’auto da battere è la Porsche 968, così Alpine affila spada e coltelli per essere più agguerrita. La nuova arma per rivaleggiare coi teutonici è la A610, che in alcuni mercati viene venduta addirittura come Renault A610. Un autogol, per certi versi, clamoroso, perché questa gran turismo lanciata nel 1991 è a tutti gli effetti una creazione della fabbrica di Dieppe e non di Billancourt, anzi, è l’ultima della specie. A livello di design si può parlare, invece, di un’evoluzione naturale della GTA, dalla quale si discosta per l’aggiunta degli affascinanti fari a scomparsa e per un abitacolo curato e molto raffinato. Stavolta i francesi si sono superati, la A610 è una macchina che sfiora la perfezione, la cosiddetta ciambella con il buco che potrebbe riportare in alto il brand, magari ricostituendo l’allure dei mitici anni ‘70.
Addirittura, l’ex pilota Henri Pescarolo, dopo un test per la rivista Action Automobile si dichiara entusiasta dell’Alpine e, mettendola a confronto con la Nissan 300ZX e la Porsche 911 Carrera 2, dice che è lei quella che fra le tre rappresenta maggiormente la gran turismo sportiva così come la si immagina. Anche stavolta, però, i compiti a casa sono incompleti perché il prezzo di listino della A610 cresce tantissimo, raggiungendo quotazioni fuori mercato: 435.000 franchi francesi nel 1995. Proprio in quell’anno arriva la definitiva cancellazione dell’auto dalla gamma con appena 818 esemplari venduti, evento che coincide con la saracinesca che si abbassa in modo definitivo sul brand Alpine almeno fino al 2017.
Un cerchio che si chiude, ma che si riapre nuovamente con una moderna A110, una sportiva ispirata alla gloriosa antenata che ha dato di nuovo linfa al prestigioso marchio transalpino. A volte basta una singola formula per confezionare un progetto perfetto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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