Quando nell’autunno del 1862 sposò Luigi I di Braganza re del Portogallo, la principessa Maria Pia di Savoia aveva appena quindici anni e portava le sottane corte.
Per l’occasione dovette indossare un abito azzurro lungo, di trine e crinolina, e portare un diadema di brillanti in testa, dono di nozze del marito. Per quanto fosse assai vivace di carattere, in quella occasione Maria Pia, quintogenita del re Vittorio Emanuele II e dell’arciduchessa Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena, apparve ai presenti, più che raggiante, quasi intimidita, con gli occhi spesso volti a terra, e stanca.
L’idea di dover lasciare la patria la preoccupava, anche se lo sposo, succeduto al fratello morto prematuramente senza eredi, era non solo un bel giovane, ma anche una persona di profonda cultura, fine intelligenza, conoscitore di lingue straniere, appassionato di arte e di musica. Alla fine, Maria Pia, pur non facendo mistero della nostalgia per il Paese natale, si affezionò profondamente al Portogallo, tanto da diventare una sovrana popolare e amata. Sul punto di morire, tornata in Piemonte dopo la proclamazione della repubblica in Portogallo, volle che il letto di morte fosse rivolto in direzione della nazione sulla quale aveva regnato.
La popolarità, tuttora elevata, di questa Savoia nel Paese iberico è dimostrata dal fatto che là il best seller di quest’anno è proprio una biografia romanzata dedicata alla sfortunata figlia di Vittorio Emanuele II. Si tratta del volume Eu, Maria Pia. O destino trágico de uma princesa italiana rainha de Portugal (A Esfera dos Livros, pagg. 208), che, in meno di un mese, è giunto alla terza edizione e ha riscosso un buon successo, oltre che di pubblico, anche di critica. Ne è autrice la giovane e bella duchessa Diana de Cadaval, moglie del principe Charles-Philippe d’Orléans, duca d’Angiò: una nobildonna, colta e intelligente, appartenente a una delle più antiche e aristocratiche famiglie portoghesi, ramo cadetto della Casa di Braganza. Appassionata della storia della sua famiglia e del suo Paese, Diana de Cadaval, nota per le iniziative umanitarie e culturali promosse nel castello avito di Évora, ha trovato nella figura della principessa italiana diventata regina del Portogallo il soggetto ideale per il suo esordio letterario.
Il libro, da un punto di vista tecnico, non è né una biografia né un romanzo, ma al tempo stesso appartiene a entrambi i generi. È infatti frutto di una minuziosa ricerca storica e della collaborazione di due storici, ma utilizza l’accorgimento letterario dell’autobiografia per poter fornire della protagonista un ritratto intimo in grado di metterne in luce non tanto i dati biografici legati alla vita pubblica, quanto quelli legati alla dimensione privata e sentimentale.
Maria Pia, malgrado le descrizioni che ne sono state fatte, non era forse bellissima - come, del resto, si deduce dall’apparato iconografico del volume - ma aveva una grande vitalità e un carattere solare. Aveva avuto al fonte battesimale, come padrino, addirittura Pio IX (e, anzi, proprio perciò le fu imposto quel nome) e alla Chiesa fu sempre devota, mai però con quella dimensione un po’ bigotta che caratterizzava la sua prediletta sorella maggiore Clotilde, cui fu particolarmente legata dopo la morte della madre e che fu destinata, anche lei giovanissima, in nome della ragion di Stato, a sposarsi con Gerolamo Bonaparte.
Divenuta regina di Portogallo, questa principessa italiana, che aveva avuto una infanzia difficile e che il marito avrebbe definito un po’ bizzarra, conquistò l’amore del suo nuovo popolo non solo con le opere benefiche, ma anche con atti di coraggio che la resero celebre. Come, per esempio, quando si tuffò nelle acque del Tago per salvare due bambini che stavano affogando, o come quando, durante l’incendio del Teatro dell’Opera di Oporto, sfidò la morte gettandosi tra le fiamme. Aveva il senso della regalità e l’orgoglio della tradizione dinastica: ai sudditi che volevano fosse insignita di una onorificenza rispose orgogliosamente che il suo atto di coraggio era un ringraziamento all’ospitalità che Oporto aveva offerto a Carlo Alberto.
Nell’autobiografia apocrifa di Maria Pia emergono soprattutto i lati del carattere della regina - la sua vitalità, il suo amore per il marito e per i figli, il suo coraggio, la sua capacità di sopportare i duri colpi del destino, come la morte dello sposo e l’assassinio del figlio e del nipote in un attentato terroristico, ma anche certe sue doti di tipo «politico». Se è vero che Maria Pia cercò sempre di essere defilata rispetto alla gestione del potere, è anche vero che si preoccupò di rafforzare l’immagine della Monarchia, come istituzione destinata a coagulare il sentimento nazionale.
In questo quadro, secondo l’autrice, si collocano le grandi e sfarzose feste, soprattutto quelle in maschera, che la regina amava organizzare: ve ne fu una, per esempio, durante la quale ella cambiò tre abiti nel corso della serata. Tutto ciò, secondo Diana de Cadaval non fu dovuto tanto all’amore per il lusso, quanto al desiderio di far riguadagnare al Portogallo il tempo perduto, portandone la corte al livello delle altre corti europee. Infatti quella era l’epoca in cui le corti, e la vita di corte, avevano un peso e una importanza politiche indiscutibili.
Che il collegamento fra potenziamento della corte e modernizzazione del Portogallo sia davvero istituibile in questi termini è forse discutibile. Ma, alla fine, quel che conta è il ricordo, il buon ricordo, della regina venuta dall’Italia.
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