New York, Zuccotti Park, «sede» del movimento «Occupy Wall Street». Intorno alle 18, ora italiana, arriva Roberto Saviano in giubbotto rosso di pelle, accolto da grandi applausi. Ha attraversato l’Atlantico per attaccare l’economia mafiosa ma anche per denigrare l’Italia e parlare agli americani di Silvio Berlusconi. Gli indignati a stelle e strisce gradiscono l’orazione dell’autore di Gomorra e fanno da megafoni umani (quelli veri non ci sono), ripetendo ad alta voce il verbo savianesco affinché tutti i presenti possano udire, incluso l’economista Nouriel Roubini, il professore della New York University noto per aver previsto la crisi. Dice Saviano che sta lavorando con lui a un non meglio specificato progetto comune.
Il problema, con l’indignazione, è che spesso non si capisce dove vada a parare. Gli italiani però scivolano sempre nella contestazione del sistema tout court. Il capitalismo è cattivo. Anzi, il capitalismo è mafioso. Un cavallo di battaglia per Saviano, che ieri, su questo tema, è stato moderato rispetto alle pagine dei suoi libri. Aggiorniamo quindi il Saviano-pensiero al brevissimo discorso di New York. La premessa è incoraggiante: «La vostra protesta è per l’economia, non contro l’economia». Lo svolgimento pare un po’ esagerato: la mancanza di liquidità, dovuta ai «manager avidi», è stata colmata dai boss, pronti a impadronirsi di tutto. Imprese, immobili, quote societarie. «La mafia vince perché le banche hanno abbattuto le loro difese», sentenzia. Poi Saviano dà la ricetta per lo sviluppo: ci vogliono «regole» e «redistribuzione di ricchezza», considerate dai crudeli capitalisti una «zavorra» e una «inutile dispersione». A questo egoismo, bisogna reagire con un «nuovo umanismo». Che questo miniprogramma sia la premessa dell’ingresso in politica? Saviano, subito interpellato in merito, nega senza troppa convinzione: «Ora non me la sento». Domani chissà. Nel frattempo lo scrittore fa pratica distruggendo i Tea Party, definiti una sciagura per gli Stati Uniti a causa del loro antistatalismo radicale.
Dopo queste analisi, una fosca profezia si abbatte su Zuccotti Park. Presto l’America sarà una colonia della mafia moscovita: «Quando accadrà che i cittadini che non sono qui con voi capiranno che tutto questo riguarda anche la loro vita? Quando i cartelli russi attraverso società americane compreranno mezza Manhattan». Per terrorizzare gli spettatori, Saviano evoca lo spettro del nostro Paese: «Il governo Berlusconi ha mentito per molto tempo alle istituzioni europee e ai suoi elettori. E ora il Paese è in una condizione di immobilità senza precedenti, in una crisi che sembra irrisolvibile. È un Paese in cui a forza di non premiare il merito, di non investire sul talento, sembra impossibile pensare di realizzarsi se non emigrando. A guardare l’Italia, ora, c’è il rischio di vedervi riflesso il vostro futuro». Una rappresentazione grottesca della realtà, così di parte da addossare ogni responsabilità al solito babau (Berlusconi) trascurando decenni di politica clientelare e spese «spensierate».
Ricapitoliamo: regole, redistribuzione, economia criminale inscindibile da quella «pulita». Saviano ha già detto tutto in Gomorra. Il romanzo-reportage contiene assiomi come questo: «Tutte le merci hanno origine oscura. È la legge del capitalismo»; o quest’altro: «La logica dell’imprenditoria criminale, il pensiero dei boss coincide col più spinto neo-liberismo». Gomorra è il manifesto di un vecchio modo di leggere il mondo, molto ideologico e forse lontano dalla realtà di Zuccotti Park, che proprio Saviano ha descritto come assai composito: al netto delle star presenzialiste, sotto la Borsa americana ci sono, oltre agli studenti, sia i progressisti sia i conservatori.
Rileggendo le cronache on line della giornata newyorchese viene da chiedersi: perché prendersela sempre col mercato, riducendolo a un campo di battaglia in cui si sfidano boss mafiosi e capitalisti malvagi sotto la regia di istituzioni corrotte? Posate le lenti deformanti dell’ideologia, Saviano potrebbe scoprire che la crisi, almeno da queste parti, è dovuta alla mancanza di mercato e all’invadenza di una politica che ha creato, per motivi di
tornaconto elettorale, un Welfare insostenibile. Gli indignati invece scendono in piazza e chiedono più Stato («regole» e «redistribuzione») come rimedio a qualsiasi problema: e se tale richiesta fosse la malattia, e non la cura?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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