Bergamo prende la rincorsa verso la capitale della Cultura

La città che fu di Donizetti e di Lorenzo Lotto è in concorrenza con Venezia e Torino per diventare il centro europeo dell’arte e delle idee nel 2019

Bergamo prende la rincorsa  verso la capitale della Cultura

nostro inviato a Bergamo

Forse per scappare dalla realtà, le nostre città sono sempre più propense a sognare: chi sogna la Coppa America, chi sogna le Olimpiadi, chi sogna l’Expo. Da qualche mese i bergamaschi sognano un sogno che mai si sarebbero sognati di sognare, soltanto pochi anni fa: trasformare la loro città nella capitale europea della cultura. L’appuntamento sarebbe per il 2019, anno in cui toccherà di nuovo all’Italia ospitare questi dodici mesi di full-immersion nelle idee, nel pensiero e nell’arte.
Lo dico da bergamasco: è un salto di qualità clamoroso. Per la prima volta nella sua storia moderna Bergamo si accorge di avere un’anima lieve, tendente al metafisico. Per secoli questa dimensione è rimasta sommersa. Prima sotto la civiltà rurale e contadina, che ha trasformato i miei antenati in impareggiabili divoratori di polenta, gozzuti come la maschera di Gioppino. In seguito, sbaraccata la cultura della terra nei modi efficacemente raccontati da Olmi, uno di qui, ne L’albero degli zoccoli, arriva lo tsunami tecnologico, molto più remunerativo, ma anche terribilmente più arido. Si apre la fase delle piccole imprese e dei grandi muratori, un’ambivalenza molto pratica e manuale, che trasforma la mia gente in un popolo famoso e stimato per operosità, resistenza alla fatica, devozione al lavoro, ma non certo per creatività intellettuale ed estetica sofisticata.
Adesso che la fatica non basta più, adesso che il manifatturiero si sposta in altri continenti, a qualcuno è venuto in mente di rialzare lo sguardo. Casualmente, alzando lo sguardo, qualsiasi bergamasco va a sbattere contro la grandezza della sua città fortificata, là in alto, un concentrato di storia, arte e civiltà che non ha uguali. Tutto un patrimonio che adesso torna buono. Dev’essere così che la nuova sfida è inconsapevolmente maturata: il fiume carsico di un passato diverso è riaffiorato in superficie, attualissimo anche per un futuro diverso, non più e non solo costruito su putrelle e cemento. Questa candidatura, che finalmente fa rima con cultura, apre un orizzonte inesplorato, aperto a tutte le soluzioni. Mai dire mai. Può persino accadere che i gozzuti divoratori di polenta e gli infaticabili piastrellisti a cottimo, un giorno diventino i raffinati abitanti di una post-moderna acropoli. Forse, chissà.
Da qui ad allora, molta strada resta da compiere. Soltanto nell’estate 2014 un comitato formato da sette personalità dell’Unione europea e sei dello Stato italiano sceglierà la città destinata a diventare nel 2019 capitale culturale del continente. Il risvolto più curioso della faccenda è che la minuscola Bergamo, 120mila abitanti a fatica, sfida capitali come Torino e Venezia. Venezia, addirittura, corre con Bolzano e Trento, proponendo un’idea triveneta ripescata dalla storia. Come un moscerino può dare molto fastidio all’elefante, se gli finisce nell’occhio, così Bergamo spera di farsi preferire ai miti con la sua idea di bomboniera mignon. Certo, servono parecchi soldi: la giuria va convinta con un concreto programma di strutture e manifestazioni. Ma Riccardo Bertollini, l’anima del neonato comitato locale, ha le idee chiare: «Come ha dimostrato Genova nel 2004, con 439 eventi e 2milioni 800mila spettatori, diventare per un anno capitale culturale d’Europa è un’opportunità unica per rigenerare la città, modificandone l’immagine e promuovendola all’estero. Ogni euro investito può generarne tra otto e dieci, contribuendo a nuova crescita e nuova occupazione».
Non è una sgambata. Se prescelta, Bergamo dovrà affrontare una spesa fra i 30 e i 90 milioni, calcolando infrastrutture e indotto. Ovviamente non può pagare tutto il Comune. Per questo, entro marzo andrà definita la squadra che affronterà i giganti di Torino e di Venezia. Nel comitato entreranno figure pubbliche come il ministro Cancellieri, che a Bergamo ha soggiornato da prefetto per diversi anni, il ministro Terzi, che qui è nato, il rettore dell’università, nonché il vescovo, che a Bergamo ancora oggi conta come l’arbitro in una finale. Al loro fianco, con una mano sul cuore e una sul portafogli, i grandi sponsor in salsa orobica: i Pesenti, dinastia dell’Italcementi, i Bombassei - forse prossimo presidente di Confindustria, capitano della Freni Brembo -, i Trussardi, signori della moda, i Radici del tessile in valle, i Percassi delle costruzioni e del terziario avanzato, nonché presidente dell’Atalanta. E poi banche, che come numero di sportelli fanno di Bergamo un Lussemburgo, e poi Camera di commercio, e poi Università, e poi Accademia Carrara, e poi aeroporto di Orio. Tutti, chi con soldi, chi con idee, chi con opere, proveranno a remare dalla stessa parte, politica permettendo (al momento, destra in giunta e sinistra all’opposizione provano a sopportarsi, almeno su questo).
In epoche come l’attuale sembra una battuta, ma effettivamente i soldi sono forse l’ultimo dei problemi. O comunque non il primo. Il primo, reale e serio, è spiegare alla giuria perché dovrebbe preferire Bergamo a Venezia sul piano della cultura. Non basterà dire che Venezia non ne ha bisogno, perché già scoppia di cultura. Bisognerà dire qualcosa di più e di meglio. Per prima cosa, bisognerà tacere e nascondere l’oscena devastazione architettonica della fascia pedemontana, da est a ovest, dall’Oglio all’Adda, da Sarnico a Lecco, dove le invasioni barbariche di amministratori aridi e palancai hanno prodotto un paesaggio da incubo, qualcosa a metà tra Las Vegas e Togliattigrad. Molto meglio sarà dare una grande spolverata alle gloriose icone locali, lasciate per troppo tempo in solaio, nel dimenticatoio, a partire da Bartolomeo Colleoni, passando per i Tasso e i Donizetti, i Caravaggio e i Lorenzo Lotto, i Giovan Battista Moroni e i Manzù, per arrivare ai Mille e al rivoluzionario Papa Giovanni XXIII. Non andranno dimenticate le glorie parallele di Giacomo Agostini e Felice Gimondi, già reclutati come ambasciatori, né bisognerà trascurare la dignità folkloristica di Arlecchino e della polenta&osei...
Tutto quanto sarà caricato nella fionda di Davide e sparato contro Golia, sperando di abbatterlo e di portare a casa la vittoria. In fondo, il duello biblico premia l’intelligenza e la fantasia sulla forza e la potenza.

Per una volta, Bergamo scommette sulla sfida impossibile. Lascia da parte calcolo e concretezza, liberando la follia. Oggi tutti si chiedono sorpresi: perché Bergamo? La domanda che tutti dovranno porsi, molto presto, è invece un’altra: perché no?

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