L’interminabile partita li rivede in vantaggio, dannazione. È da quasi settant’anni che Italia e Germania si affrontano a viso aperto, con continui ribaltamenti di fronte, senza risparmio di energie. Le due squadre, due idee opposte della vita e due modi opposti di affrontarla, cercano disperatamente la vittoria, ribattendo colpo su colpo, senza però riuscire mai a infliggere quello del ko. Troppo equilibrio, troppi timori reverenziali, dall’una e dall’altra parte. Loro esercitano una maggiore supremazia territoriale, praticano il possesso palla, coprono tutte le zone del campo puntando sulla prestanza fisica, noi invece li aspettiamo davanti all’area e li colpiamo in velocità, giocando tutto sulla fantasia e sull’imprevedibilità.
C’è stata una fase particolare della sfida, nel 1970, che ci ha visti sul punto di prevalere definitivamente: con un memorabile sforzo collettivo, ci eravamo portati sul 4-3. Per tanto tempo ci siamo cullati su quel miracoloso punteggio, sentendoci in tasca la partita. Ma ci siamo solo illusi. Per definizione, i crucchi non cedono mai. Prendono bancate terrificanti, ma si rialzano sempre. Chiedere nelle birrerie di Rimini: alle due di notte sono sfatti, sembrano morti, ma la sera dopo sono di nuovo lì, pronti a ricominciare, come nuovi.
Noi ci siamo tolti lo sfizio di metterli ancora sotto direttamente a casa loro, nel 2006, buttandoli fuori dal Mondiale dell’orgoglio teutonico. Ma ancora una volta era solo un grande contropiede, che li ha sorpresi, che li ha rintronati, senza però finirli. Ci vuole altro. Si rialzano sempre, c’è poco da fare. Così, negli ultimi tempi, l’attesa reazione, possente e veemente, a modo loro. La madre di tutte le rivincite l’hanno organizzata sul loro terreno preferito, quello economico. La grande crisi li ha visti padroni del campo. Noi, sulle ginocchia. E allora eccoli infierire: prima fingono di tenderci la mano, comprando i nostri titoli, poi si stancano e ci abbandonano. Tutto un popolo a gridare lo stesso slogan: si arrangino. L’Italia si è messa in quella situazione, l’Italia ne esca da sola. La stessa Merkel, che all’inizio sembrava collaborativa, ad un certo punto cavalca la rivalsa e chiude i rubinetti. Ci ride in faccia con il suo amichetto Sarkò. Fa pure di peggio: alza la cornetta e chiama Napolitano, dicendo tutto il male possibile di Berlusconi, ficcando il naso negli affari nostri. In quei frangenti, la nostra resistenza si limita allo storico apprezzamento che lo stesso premier dedica alla rivale in una telefonata: culona. Il riferimento non è alla sua fortuna.
Poi entra in gioco Schettino. Fromboliere nato, tenta il colpo di tacco per strappare l’applauso al caloroso pubblico del Giglio, mandando l’Italia in barca. Ai tedeschi non sembra vero. Con il loro ariete Der Spiegel lanciano bordate feroci: ridono del nostro orgoglio nazionale, del nostro attaccamento alla maglia, della nostra pochezza caratteriale. Dopo la pistola sugli spaghetti, va in scena l’italiano codardo e meschino, miserabile e impostore. E’ la fase peggiore della partita, per noi. E adesso c’è pure questo nuovo colpo dei risarcimenti negati.
Sembra profilarsi la disfatta, ma proprio nel momento peggiore riusciamo a riorganizzare la manovra. Anzi due. La differenza tra le loro azioni e le nostre, col passare del tempo, non è più così abissale: ormai stabilmente sotto quota 400. Qualche segnale di rimonta affiora. La difesa tiene. Cominciamo a crederci, non siamo spacciati. La Germania si rialza sempre, ma l’Italia non cade mai.
Non era finita sul 4-3 per noi, non è finita adesso. Certo, dobbiamo essere sportivi: nelle ultime fasi di gioco ci stanno pressando. Vogliono chiaramente stravincere. Ma non devono illudersi: la partita è ancora lunga...
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