Berlino scarica il cinema d’autore e lo nasconde

da Berlino

Rari i film sui reazionari, fra questi Utz di Sluizer e Il marchese del Grillo di Monicelli. Con quest’ultimo la Berlinale ieri ha ricordato il regista italiano comunista che mi diceva sempre: «L’unico periodo serio del nostro cinema è stato in epoca fascista». Sono le contraddizioni della storia dei Festival e questa Berlinale ne è densa: oltre al Marchese del Grillo, include proprio Utz nell’omaggio ad Armin Mueller-Stahl, reduce dal cinema della Ddr, nemmeno lei ligia ai canoni della democrazia venale di Bonn e poi di Berlino.
E la retrospettiva? È per Ingmar Bergman, che fu adolescente nella Hitlerjugend, fatto insolito per uno svedese. Una volta ciò sarebbe bastato a far scegliere un altro regista. Ma la Berlinale della Merkel è come quella di Schroeder: l’estinta «infatuazione» nazista urta meno che la presente «infezione» berlusconiana.
Arte applicata all’industria, il cinema dipende infatti dai governi. E così i grossi Festival. Socialdemocratica nelle ostentazioni dei suoi ultimi direttori, ma nata visceralmente anticomunista nell’estate 1951 della guerra di Corea, la Berlinale è schierata contro la maggioranza in Italia, perciò ha ospitato filmetti come Bye-bye Berlusconi! di Stahlberg (2006), filmacci come The International di Tykwer (2009) e ora ospita Qualunquemente di Manfredonia, che invece è un film vero.
Per ribadire il concetto su dimensione transcontinentale, dopo Qualunquemente, la rassegna «Panorama» ha presentato il seguito dell’opera che vinse l’Orso d’oro nel 2008. È sempre di José Padilha e s'intitola Tropa de elite 2. Vi si parla di politica e mafia in Brasile e il cattivo è un politico, diventato tale come guru tv. A chi si alluderà?
All’orticaria per il presente politico italiano nella Berlinale non corrisponde indulgenza per il passato storicizzato tedesco. Ogni edizione - inclusa questa, che mercoledì presenterà fuori concorso Il mio miglior nemico di Wolfgang Murnbeger, è ligia al rituale del mea culpa. Ma mostrare che il razzismo non è solo dei tedeschi può giovare alla Germania. E così il film americano anti-iraniano 300 di Zack Snider - che sarebbe parso eccessivo anche per i canoni di Goebbels - è stato presentato qui…
Se restano tracce dei grandi registi di ieri, che cosa resta dei grandi registi di oggi? In genere costoro puntano su Cannes, che apre un mercato meno numeroso di quello tedesco, ma dà un’eco mondiale.


Oggi alla Berlinale sono in programma Wenders, con Pina, documentario sulla Bausch per i devoti di Wim, oltre che di Pina; e Zhang Yimou con Sotto il biancospino, ambientato in campagna durante la rivoluzione culturale. Domani toccherà a Chen Kaige, con Sacrificio. I due film dei migliori registi cinesi sono però «nascosti» in rassegne parallele. Certo, Berlusconi qui non è mai stato di moda. La Cina invece ha smesso di esserlo.

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