
Sono passati ormai cinquant'anni da quando Sergio Ramelli, un giovane militante del Fronte della Gioventù, venne massacrato a Milano da alcuni compagni di Avanguardia operaia. Una spedizione in piena regola, pensata e organizzata per punire quel ragazzo che aveva osato condannare la violenza delle Brigate rosse in un tema scolastico. Quarantasette giorni di agonia, una foto rubata mentre Sergio era sul letto dell'ospedale e l'ultimo respiro che abbandona il suo corpo il 29 aprile del 1975. Questa è la storia, ormai nota, di quell'uomo nero che, come ha scritto Guido Giraudo, per molto tempo ha fatto paura a una certa sinistra. E pure a una certa memoria a senso unico.
Dopo decenni, Sergio ha finalmente delle vie che portano il suo nome. Perché era giusto ricordare quel giovane ammazzato in nome dell'odio politico. Perché era giusto che anche i morti di destra trovassero piena cittadinanza in questo squinternato mondo. Accade così in molte città del nostro Paese, ma non in tutte.
Succede, per esempio, che le giunte dei comuni di Cassano d'Adda e di Brugherio propongano di intitolare un luogo della memoria a Ramelli. Non una novità, come abbiamo visto. Ecco però opporsi l'Associazione nazionale partigiani d'Italia (Anpi), Potere al popolo e Rifondazione comunista: «Un'operazione di bieco revisionismo di parte finalizzato a piegare a proprio uso la memoria nel vano tentativo di tentare di ripulire una storia con la quale probabilmente non si è fatto ancora i conti fino in fondo». A rispondere i militanti di Gioventù nazionale della Provincia di Milano: «Il sorriso di Sergio è più forte del vostro odio».
Gli eredi dei partigiani affermano che «Brugherio non deve diventare il luogo dove ogni anno si celebra la commemorazione rievocativa del fascismo come successo in altre città. Invitiamo tutti gli iscritti a partecipare al Consiglio comunale portando il fazzoletto Anpi, da indossare qualora la votazione sia favorevole all'intitolazione». Potere al popolo si mette in scia, ritenendo «inaccettabile l'ennesimo tentativo di riscrivere la storia e di legittimare figure legate alla destra neofascista». Certo, scrivono, «la sua tragica morte, come quella di tutte le vittime della violenza politica, merita rispetto, ma non può essere strumentalizzata per operazioni di revisionismo storico che mirano a equiparare antifascismo e fascismo». E poi la solita sequela di luoghi comuni sulla Resistenza, la loro dichiarazione d'intenti - «l'antifascismo non è un'opinione, ma un valore fondante della nostra Repubblica» - e la richiesta «alle Amministrazioni comunali di respingere questa proposta e di impegnarsi a preservare la memoria delle vittime della violenza fascista e di chi ha lottato per la libertà e l'uguaglianza».
Come se ricordare anche (e non solo) Ramelli togliesse
qualcosa agli altri morti. Come se non fossero mai passati cinquant'anni e quel ragazzo avesse perso, oltre alla vita, anche il diritto di essere ricordato. Come se la guerra (in)civile tra rossi e neri non fosse mai finita.
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