Ammazzare qualcuno perché ti dà dell'«omosessuale». Ammazzarlo a bruciapelo, rincorrendolo, finendolo e scappando via veloce. Via di corsa, perché quello con la pistola in mano è un atleta. Quello che non si muove più, invece, è un suo tifoso. Accade a Barranquilla, quarta città della Colombia, affacciata sul Mar dei Caraibi. Oltre un milione di abitanti delusi perché la squadra di calcio di casa, l'Atletico Junior, domenica sera aveva perso la finale del campionato di Apertura contro l'Once Caldas. Tre a uno, una disfatta.
Insulti Era bastata questa batosta per scatenare l'ira delle frange più violente del tifo. Ad essere preso di mira, il centrocampista 27enne Javier Florez, già in squadra quando l'Atletico vinse il titolo colombiano nel 2005. Florez era stato avvicinato e insultato, ed era fuggito a casa dei genitori, dove aveva preso una pistola. Recatosi poi al ristorante, era stato di nuovo finito nel mirino degli insulti di chi gli imputava scarso impegno. E Florez improvvisamente è impazzito. Ha colpito col calcio della pistola alcuni ragazzi, sparando dei colpi in aria. E quando uno di loro, l'elettricista suo coetaneo Israel Cantillo, ha tentato di disarmarlo, Florez prima l'ha ferito a una mano, poi gli ha sparato nel torace. L'ultrà ha cercato di fuggire, ma il calciatore lo ha raggiunto e freddato con altri due colpi, scappando poi a piedi mentre la folla devastava la sua macchina (dove sono state trovate numerose bottiglie di birra vuote e - si legge su alcuni quotidiani colombiani - anche delle dosi di droga). Convinto dai familiari, Florez si è poi costituito, mentre la tifoseria intera chiedeva di linciarlo.
Il precedente In Colombia morire di calcio non è una novità. L'episodio più noto è quello di Andrés Escobar, il difensore della Nazionale colombiana che si macchiò di un'autorete decisiva nella partita contro gli Stati Uniti durante il mondiale del 1994. Considerato «colpevole» dai narcotrafficanti - probabilmente per un giro di scommesse fallite - fu freddato da un'ex guardia del corpo fuori da un ristorante di Bogotà e dopo soli 11 anni di carcere il suo assassino è stato messo in libertà nel 2005.
Oltre il limite Eppure i meccanismi che regolano la passione calcistica, il diritto di critica e il diritto di reazione stavolta sono più complessi. Niente narcos, niente pazzi al soldo dei trafficanti che urlano «goal» in faccia a chi stanno per ammazzare. Stavolta la dinamica è simile a quella che si nota ogni domenica. Un tifoso deluso che pensa di poter insultare il suo idolo, un idolo offeso che pensa di poter reagire al pubblico. Di differente c'è la conclusione. Roberto Mancini si limitò a zittire platealmente i tifosi che dietro la sua panchina lo infastidivano; Zlatan Ibrahimovic si è concesso gesti più volgari; Eric Cantona quando giocava nel Manchester United pensò di potersi vendicare di un tifoso del Crystal Palace che gli dava del «francese di merda» saltando le protezioni e colpendolo con un calcio da kung fu. Il limite delle passioni è labile, il controllo cade, l'ira trabocca.
Perde la testa Zidane per le provocazioni di Materazzi, perdono la testa i tifosi che lanciano molotov sulla pizzeria di Cannavaro, perdono la testa gli hooligans che non trovano di meglio da fare che accoltellarsi. Si perde la testa, nel calcio. Il brutto è che in questo calcio, si perde anche la vita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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