Cile-Urss, la "partita della vergogna" di Pinochet

Cile-Urss, la "partita della vergogna" di Pinochet

Estadio Nacional di Santiago del Cile, 21 novembre 1973: la nazionale del Paese di casa scende in campo per la partita di ritorno dello spareggio di qualificazione al Mondiale destinato a giocarsi in Germania Ovest l'anno successivo. Contro la squadra di casa, non si presenta nessuno. L'avversario avrebbe dovuto essere l'Unione Sovietica, reduce del secondo posto all'Europeo del 1972 e universalmente ritenuta una delle migliori nazionali al mondo, costretta allo spareggio col Cile dal sorteggio della Uefa: essendo stata estratta nell'unico gruppo a tre squadre delle qualificazioni europee, dopo aver vinto il girone con Irlanda e Francia la nazionale della superpotenza comunista dovette sfidare il Cile nello spareggio Uefa-Conmebol. Ma l'Urss aveva rifiutato per non legittimare sportivamente il Cile diventato autoritario e soprattutto per non giocare nello "stadio della morte" della capitale Santiago.

Per capire cosa fosse successo bisogna avvolgere il nastro del racconto di un paio di mesi. All'andata la sfida a Mosca finisce 0-0, dopo una sfida serrata. La data della partita è il 26 settembre 1973. Lo spartiacque nei rapporti tra Cile e Unione Sovietica è avvenuto due settimane prima. L’11 settembre 1973, con un cruento colpo di stato, il generale Augusto Pinochet, ex Ministro della Difesa, rovesciò il governo guidato del leader di Unidad Popolar, Salvador Allende, eletto democraticamente nel 1970. Il golpe di Pinochet pose fine ai "mille giorni più belli del Cile" e al primo esperimento di complementarietà tra ideologia socialista e libera elezione democratica di un leader occidentale dopo lo scoppio della Guerra Fredda.

Pinochet e il suo regime fecero calare il buio sul Cile dando poi il via a un’autentica epurazione: in poche settimane il Cile divenne il regno del terrore, gli squadroni della morte di militari e paramilitari fedeli al nuovo regime divennero gli esecutori della repressione dei fedelissimi di Allende, dei leader sindacali, degli attivisti politici. L'Estadio Nacional, in cui giocava l'Universitad de Chile e che aveva ospitato la finale del Mondiale 1972, divenne uno dei luoghi di tortura e detenzione dei dissidenti. La Croce Rossa ha stimato che 7mila prigionieri abbiano occupato contemporaneamente lo stadio convertito a campo di detenzione e transito verso la galera o la morte. Complessivamente 40mila persone sono state detenute tra settembre e novembre 1973 in uno stadio in cui molto spesso i detenuti sono stati torturati e minacciati di morte a colpi d'arma da fuoco. Alcuni sono stati effettivamente uccisi sul posto, portati in luoghi sconosciuti per l'esecuzione o scomparsi nei terribili "voli della morte". Un'approfondita analisi della Harvard Review of Latin America e il documentario Estadio Nacional del 2002, diretto dalla giornalista Carmen Luz Parot, hanno meritoriamente portato alla luce ciò che il sistema di potere sovietico, tramite spie e informatori, era riuscito a captare già allora: l'Estadio Nacional era diventato un luogo di tortura e privazione delle libertà umane.

Pinochet e altri membri della giunta spesso si alternavano a urlare e imprecare contro i detenuti parlando dal sistema di diffusione sonora dello stadio. Il leader dell’Urss, Leonid Breznev, poco dopo il golpe e la morte dell'amico Allende ebbe modo di definire quanto accaduto un “golpe fascista” e dichiarò cessati i rapporti diplomatici con la dittatura militare di Santiago. Inoltre, la federcalcio di Mosca chiese di giocare il match di ritorno in campo di neutro per "questioni morali". "La Fifa", racconta Storie di Calcio, "il 24 ottobre, inviò una delegazione con il compito di certificare resistenza delle condizioni necessarie per disputare rincontro. E incredibilmente, dopo due giorni, arrivò il placet" su iniziativa dello stesso presidente britannico Stanley Rous, già discusso gli anni precedenti per il guanto morbido usato contro la nazionale del Sudafrica dell'apartheid.

E così il 21 novembre 1973 nello stadio dove, fino a pochi giorni prima, la dittatura militare continuava a torturare e uccidere si sarebbe dovuto giocare il match tra la squadra utilizzata come volano di propaganda del nuovo regime vicino a Washington e nato grazie all'alchimia politica di Henry Kissinger e la squadra sovietica guidata dal leningradese Yevgeny Ivanovich Goryansky e allora centrata sul nucleo della Dinamo Kiev di Oleg Blochin, che nel 1975 avrebbe vinto come uomo-simbolo degli ucraini la Coppa delle Coppe, la Supercoppa Europea e il Pallone d'Oro. Ma l'Urss non aveva preso, come prevedibile, il volo per Santiago. Davanti a poche migliaia di spettatori convocati dal regime nello stadio soprannominato "elefante bianco" l'undici cileno scese in campo assieme all'allibito arbitro 40enne Erich Linemayr, costretto dalla Fifa a recitare una pantomimia farsesca fischiando l'inizio della sfida in assenza della nazionale ospite. Trovatasi, di fatto, a essere squalificata e a subire la sconfitta a tavolino per 2 a 0.

Il Cile andò in porta undici contro zero all'inizio della sfida e a dover servire l'assist al capitano Francisco Valdes fu il giocatore più di sinistra della squadra, Carlos Caszely, centravanti del Colo-Colo soprannominato per il suo fiuto del gol "El Rey del metro cuadrado". Una sorta di Filippo Inzaghi del Paese andino, tuttora ritenuto uno dei calciatori cileni più forti di tutti i tempi. Talmente noto da poter, in futuro, dopo esser andato a giocare al Levante, nella Spagna franchista, esprimere pubblicamente il suo dissenso col regime. Ma quelli erano tempi incerti per tutti e Caszely servì Valdes per la rete farsesca e simbolica con cui il Cile si aggiudicò la partita per arrivare al Mondiale tedesco ove fece da comprimaria uscendo al primo turno nel girone della storica sfida tra la Germania Est e la Germania Ovest padrona di casa, che si qualificarono. Caszely non "nasconderà mai il rimorso e la vergogna per avere partecipato a quella sconcertante esibizione", ricorda Storie di Calcio. Ma nel 1988 fu uno dei volti pubblici più noti del Cile a sostenere l'opposizione al regime militare nel plebiscito nazionale convocato per decidere se Pinochet dovesse o meno restare al potere.

Quel giorno del 1973, però, persero tutti. L'Unione Sovietica vinse moralmente, ma perse per colpe non sue l'occasione di giocarsi un Mondiale in cui agognava la rivincita con la Germania Ovest per il secco 3-0 subito all'Heysel di Bruxelles nella finale di Euro 1972: non sapremo mai come sarebbe stata la corazzata sovietica al suo picco di forma nel confronto con la Germania padrona di casa e l'Olanda, futura splendida finalista, di Johan Cruyff. Il Cile perse la dignità sportiva conquistata dodici anni prima col terzo posto al Mondiale di casa e che avrebbe visto la sua tenuta venire meno di fronte all'appiattimento del calcio nazionale e di molti altri sportivi, primi fra tutti i tennisti che avrebbero perso con l'Italia la finale di Coppa Davis del 1976 giocata proprio all'Estadio Nacional, sulla retorica del regime liberticida. La Fifa perse definitivamente l'innocenza.

Pochi mesi dopo il fattaccio di Santiago, Rous passò il timone a Joao Havalange, artefice da presidente della Fifa della svolta verso il calcio "globalizzato" che avrebbe visto ben pochi scrupoli nei legami tra l'organizzazione regina del calcio mondiale e le più nefande autocrazie della Terra. Come quattro anni dopo si sarebbe ben visto nel Mondiale giocato nell'Argentina della dittatura militare sorella di quella di Pinochet.

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