Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
«Un elefante non lo si sostituisce con cento lepri». Raúl Castro lo andava dicendo da qualche tempo, informalmente, quando qualcuno accennava al problema della successione di Fidel. Adesso è ufficiale. Il dittatore dellAvana il 13 agosto compirà 80 anni, buoni quaranta dei quali passati al potere e non ha mai fatto il nome del suo erede designato. Nato nel segno del Leone, non si è avventurato nei paragoni dentro il regno animale. Evidentemente ha lasciato il compito al fratello, che di anni ne ha 75. E Raúl si è ora espresso: cento lepri, dopotutto, possono prendere la successione di un elefante, se si chiamano, tutte assieme Partito comunista.
Naturalmente sotto guida del fratellino: «La leadership di Fidel è quasi impossibile da trasferire. Non si può, soprattutto, trasmettere la fiducia del popolo in un leader che è anche il fondatore. Solo una istituzione è in grado di farlo e questo è il Pc, che rappresenta lavanguardia rivoluzionaria». Lerede sarà dunque, almeno formalmente, una Guida collettiva. Come accadde nellUrss alla scomparsa di Stalin, prima che i membri dell'élite cominciassero a eliminarsi fra loro. Per il momento a Cuba essi vogliono costituire un fronte compatto dietro la leadership di Raúl, che dovrebbe fare pressa poco da ombrello a un gruppo che si è andato selezionando negli ultimi due anni, a cominciare cioè dal momento in cui la salute di Fidel ha preso a deteriorarsi visibilmente.
Fu durante un comizio che il líder máximo dovette interrompere. L'altoparlante invitò gli ascoltatori ad andarsene a casa e concluse col doppio grido: «Viva Raúl! Viva Fidel!». Per la prima volta in questordine. Formalmente però lerede si chiamerà Partito. In pratica Raùl si appoggerà a due gruppi di età: gli «intimi», cioè i compagni della vecchia guardia cresciuti assieme a Castro e a Che Guevara sulla Sierra prima di calare sullAvana a ereditare il potere dalla dittatura crollante di Fulgenzio Batista, e da una consorteria di giovani, allevati da Raúl Castro e dai suoi collaboratori, o concorrenti, Carlos Lage e Felipe Pérez Roque.
Questa «giovane guardia» è anche soprannominata «la tribù», anzi «la tribù che addolcisce a Fidel lautunno della sua vita». Ma non cè niente di sentimentale nella struttura preannunciata dallerede nominale: alle declamazioni si affianca infatti un programma, che prevede un ulteriore incremento del ruolo del Partito comunista nella gestione del potere a Cuba, a cominciare dalla reintroduzione della carica di segretario generale.
Svaniscono del tutto, in questo disegno, le confuse speranze in una graduale liberalizzazione del regime sul modello di quanto accaduto a suo tempo nellUrss e nei satelliti europei o in Cina, dove il sistema totalitario ha trovato un mezzo per salvarsi: salvare il regime scaricando gran parte del bagaglio ideologico comunista e conservando solo ciò che è strettamente indispensabile per abbarbicarsi, appunto, al potere.
È noto che Fidel non ha alcun interesse alle riforme. Fin dai tempi di Gorbaciov egli aveva intuito che nel caso di Cuba esse non erano necessarie e che gli sarebbe anzi convenuto tenere in piedi tutte le icone che hanno insaporito la sua giovinezza di ribelle, la sua obesa maturità e la sua vecchiaia al Palazzo. Con la scusa avanzata allora, e oggi ribadita, della «minaccia americana». «Gli Stati Uniti - ha detto Raúl - sono un nemico caparbio e prepotente ma non stupido. Gli americani hanno tracciato per noi uno schema di transazione graduale al capitalismo, scommettendo sulla fine della Rivoluzione quando non ci sarà più la sua guida storica. La risposta è consolidare nella gestione del potere lunico degno erede, cioè il Partito».
Unimpresa che appare disperata visto il totale fallimento delleconomia cubana, ma che oggi lo è un po meno di prima a causa della deriva verso sinistra di buona parte dellAmerica Latina, che sta rompendo lisolamento dellAvana.
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