Troppe le diagnosi sbagliate di celiachia. L'intolleranza al glutine, una patologia fino a poco tempo fa praticamente ignorata, ora rischia di subire un boom ma anche a causa di valutazioni erronee.
A dirlo il professor Gino Roberto Corazza, Direttore della Clinica Medica San Matteo di Pavia, uno dei più grandi esperti di celiachia a livello internazionale. «I pazienti accertati sono ancora la punta dell'iceberg -avverte Corazza- ma quasi nel 20 per cento dei casi si tratta di falsi positivi, persone che cioè non sono veramente malate, ma sono ugualmente sottoposte a dieta priva di glutine».
Insomma ci sono migliaia di celiaci che rischiano perchè non sanno di esserlo mentre molte persone si privano di una alimentazione completa a causa di un errore diagnostico. La denuncia parte dal Festival della salute di Viareggio che ospita il professor Corazza.
«Tra il 1995 e il 2005 si sono rivolti a me 605 pazienti celiaci: quasi nel 20% dei casi la diagnosi non è stata confermata», spiega l'esperto.
In Italia i casi accertati sono 85mila. E' porbabile però che i malati siano molti di più. «Si tratta solo della punta dell'iceberg - continua il professore - sono 350mila i pazienti non ancora diagnosticati, secondo le ultime stime».
Negli ultimi 5 anni le diagnosi sono più che raddoppiate, e sempre più spesso, nella maggioranza dei casi, la patologia viene scoperta in età adulta. Ma così come sono lievitati i casi accertati, è cresciuto anche il rischio di falsi positivi. Il che significa che molti pazienti, quasi 1 su 5, seguono un regime dietetico restrittivo senza motivo. «Il rischio è quello di sottovalutare, in seguito, l'insorgenza di sintomi che sono tipici della celiachia - chiarisce Corazza - e dunque di non indagarne le origini e prescrivere una cura adeguata».
Allo stesso modo continua a persistere il problema inverso, quello di una diagnosi tardiva, che può comportare gravi conseguenze, anche letali. Nel 1998 il tempo medio che occorreva per riconoscere la celiachia erano 11 anni. Oggi l'attesa si è ridotta a 4 anni. Sempre troppi. «Molti medici generici ne sanno ancora troppo poco», aggiunge Corazza.
La lunga durata di questo «limbo diagnostico», come lo definiscono gli esperti, trova ragione anche nella mancanza di indicatori ben precisi per questa patologia.
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