La cosa che colpisce in tutti i libri di Walter Siti è il modo in cui mette in scena la realtà. Lo ha fatto spesso dando voce, o forma, a un personaggio che porta il suo stesso nome e cognome (e si pensi alla trilogia con cui ha esordito, pure tardivamente, nella narrativa, da Scuola di nudo del 1994 a Troppi paradisi del 2006). Ma non bisogna credere che il personaggio Walter Siti coincida con il suo autore. I suoi romanzi non sono esattamente delle autofiction. Credo siano qualcosa di diverso. Che Walter Siti abbia sentito la necessità di immaginare un personaggio con il suo nome e cognome per mostrare quanto di irreale ci sia nella realtà. Sembra addirittura che il personaggio Siti sia più reale del Siti che vive nella quotidianità. Quasi che la sola realtà ancora possibile fosse non tanto quella che viviamo quotidianamente ma quella che si è in grado ancora di immaginare. Per raccontare la realtà di questa irrealtà quotidiana, Walter Siti ha fatto i conti come pochi altri con tutte le contraddizioni del presente. Potremmo dire che nessuno come lui si è calato in maniera tanto profonda nelle dissonanze del presente, perché è quel presente che ha sempre voluto raccontare, in qualche misura mettendo a nudo le sue ossessioni. Una delle quali è certamente il corpo, un corpo ideale o idealizzato, forse anche questo irreale, proprio perché il corpo desiderato è quello gonfiato dagli anabolizzanti, quello di un culturista.
Walter Siti, a proposito di corpo reale o ideale. La prima cosa che ho notato nel suo ultimo libro saggistico, C'era una volta il corpo (Feltrinelli, pagg. 150, euro 17), è che in una certa misura lei abbia voluto raccontare non soltanto la fine del corpo per come la storia lo ha sempre pensato - cioè come «esca del divino» scrive nel libro - nelle sue numerose forme e idealizzazioni, ma anche la fine di un modo di pensare. È la morte definitiva dell'umanesimo?
«In realtà ho voluto parlare non solo della crisi del corpo come esca del divino, cioè diciamo del corpo platonico-gnostico, ma anche del corpo realistico, quello di tutti i giorni. Molte funzioni che una volta spettavano al corpo - la fatica fisica del lavoro, il piacere del sesso, la segnalazione del tempo interno, l'aggressione, la competizione - ora possono essere supplite dalla tecnologia; sappiamo sempre meno a che serve il corpo, proprio mentre ce ne prendiamo sempre più cura. Ad essere finita è l'inconsapevolezza dell'unità psicofisica, che potremmo chiamare la creduta naturalezza del corpo. Il corpo ora viene percepito come qualcosa di estraneo all'io, spesso l'io ne parla in terza persona, lo confonde con l'immagine del corpo; nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, il corpo proprio o altrui diventa un oggetto, sia per fare l'amore che per uccidere. L'umanesimo presuppone che l'uomo, completo di corpo, stia al centro dell'universo, come nell'Uomo Vitruviano di Leonardo. Ma l'uomo ormai non è più al centro nemmeno di se stesso».
Lei scrive di uno spaesamento del corpo, come gli individui subissero uno scollamento tra quello che fanno e lo spazio che vivono...
«I giovani abituati ai social sono sganciati dalla storia e dalla geografia, pensano in modo globale e metastorico. Da una parte sembra che il particolarismo delle identità prevalga sull'universalismo umanistico-illuministico, ma dall'altra i corpi e le menti occidentali sono coinvolti in un processo di omologazione e appaiono sempre più uguali».
Oggi si è molto attenti a un linguaggio inclusivo, in cui le diversità, le fragilità sono talmente tanto protette dal linguaggio da essere diventate indistinguibili, o forse oggetti utili al mercato. Scrive: «Perfino le trasgressioni più estreme risultano funzionali al sistema»...
«A sinistra la cultura dei diritti si è sostituita alla cultura della giustizia, al mito dell'eguaglianza è subentrato quello dell'equità; più che l'accoglienza, si è messa al centro l'inclusione delle minoranze oppresse, con una ricerca sempre più minuziosa delle vittime più vittime. La comprensione antropologica delle culture particolari sollecita meccanismi di risarcimento, i corpi dei diversi sembrano più interessanti, il rispetto per le fragilità sembra attentare al principio democratico della libertà di pensiero. A destra si sta scegliendo la via facile del ritorno all'indietro, del recupero disperato di una normalità non più recuperabile. Se i conservatori continuano su questa strada hanno già perso la guerra pur vincendo l'attuale battaglia, mentre i progressisti non capiscono nemmeno da che parte si dovrebbe sparare. Il nemico è evanescente e inafferrabile, ha un corpo fatto di tecnologia».
Il corpo deve essere sempre di più performante, sano. Il dolore, la malattia, anche fosse solo la nevrosi o il disagio di esistere, sono qualcosa da nascondere?
«I regimi totalitari, di destra e di sinistra, hanno sempre esaltato il corpo eroico, ma sotto la propaganda c'era la verità di corpi che invecchiavano, si ammalavano, morivano. Ora la vecchiaia sembra non esistere più, di apparire vecchi ci si vergogna, i vecchi vengono rimossi in apposite strutture, le malattie si contrastano con sempre più evoluti pezzi di ricambio, alcuni visionari promettono addirittura di abolire la morte. L'intelligenza artificiale può produrre video in cui persone defunte tornano in vita, per esempio per fare endorsement elettorali. Il corpo immortalato dai selfie non è quello reale ma la proiezione virtuale di ciò che ciascuno crede essere la versione migliore di se stesso; il corpo è entrato in un circuito di comunicazione: il mio corpo è il mio biglietto da visita».
Cos'è esattamente il desiderio di massa di cui scrive, e quali sono le conseguenze più visibili?
«Un desiderio di massa è quel che l'antropologo René Girard chiamava desiderio triangolare: quando non si desidera qualcosa in modo diretto ma lo si desidera soltanto per imitare altri che lo desiderano. Non credo ci sarà mai una fine del desiderio, ma c'è il rischio che diventi sempre di più un desiderio virtuale. Lo si vede per esempio dalla voga di Onlyfans, dove ragazze e ragazzi non si considerano prostitute/i perché mettono sul mercato soltanto la loro immagine e non il loro corpo. Al limite, l'immagine potrebbe anche essere creata artificialmente. Il corpo potrebbe essere anzi considerato un impedimento da superare per raggiungere il piacere; alcuni giovani già preferiscono fare sesso a distanza piuttosto che in presenza, qualche artista spericolata si sposa con un ologramma».
Nei suoi libri ha indagato molto anche il mondo della televisione. Ma la televisione non ha forse stravolto il modo di percepirci nel mondo quanto i social e ora l'intelligenza artificiale, che ci hanno modificati da dentro. Qual è la differenza tra questi strumenti di comunicazione di massa?
«La differenza principale è l'interattività, l'invenzione delle notifiche sugli smartphone; il richiamo del suono-notifica risulta irresistibile, il rilascio di dopamina è intensissimo essendo casuale e imprevedibile, è il segno del proprio successo sociale. La televisione non te la porti dietro tutto il giorno, e non sa di noi tutte le cose che sa uno smartphone; il telefonino conosce tutto il nostro dimenticato e rischiamo di confonderlo col nostro inconscio».
Ma che fine hanno fatto i nostri sentimenti? Davvero possiamo dire che anche questi siano irreali?
«Si sta perdendo l'idea della soddisfazione differita, la velocità ci richiede
soddisfazioni immediate e sentimenti prêt-à-porter. Io credo ancora che la mia ossessione per i bodybuilder sia autentica, ma forse è diventata un desiderio di corpi artificiali, tant'è vero che la Ai può simularli senza difficoltà».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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