Josè si sta attrezzando per portare a casa una serie di titoli alternativi. Per esempio quello di grande riabilitatore se gli riuscisse di far diventare simpatico Zdenek Zeman al resto dell’Italia. Poi da lì a prenderne il posto sarebbe un gioco da ragazzi. È in una fase nervosa, ogni riferimento alla sua persona o all’Inter lo aizzano, succedeva anche prima ma con l’espulsione ad opera di Orsato a Cagliari, la situazione sta precipitando. Prima era solo permaloso, adesso è inavvicinabile.
Poiché Josè è persona intelligente, ha capito da tempo che infilarlo in qualche intervista fa audience, e in tanti sfruttano questa opzione per un ritaglio di popolarità. Ma ancora non ha capito il seguito. Ieri Zeman, senza possibili fraintendimenti, ha detto che Josè è un grandissimo comunicatore che sa nascondere bene la sua mediocrità come allenatore: «I tifosi devono rassegnarsi a vedere giocare male la loro squadra - ha precisato il boemo -. Il gioco dell’Inter? Non si capisce che roba è». Appunto assolutamente pertinente, non tanto sulla qualità del gioco, che a tratti con Milan e Napoli è stato soddisfacente, ma per alcune precedenti riflessioni in cui Josè santificava il 4-3-3 come modello delle squadra top level. Ma poi a Marassi lo cambia con un 4-4-2 che conduce alla prima sconfitta in campionato. Cos’ha in mente Josè per questa Inter resta un interrogativo, poi si può anche discutere del gioco.
Oggi a Kazan tutto lascia supporre che tornerà al 4-4-2 con la più classica delle formazioni, unica incertezza legata a Muntari che venerdì in allenamento ha accusato un fastidio muscolare alla coscia, da qui la sua esclusione fra i convocati di Genova: «Queste sono partite - ha detto Josè -, in cui ho bisogno di giocatori al cento per cento». Il Kazan sta facendo paura allo Spartak e allo Zenith, non può farne all’Inter, evitiamo paradossi. Se gli riesce è solo perché in questa squadra sta succedendo qualcosa che sfugge: «Ho fiducia nell’Inter - ha dichiarato Mourinho nella conferenza prepartita -. Ma non è colpa mia se non vince la Champions dal 1965. Io sono responsabile solo dell’ultima stagione». Poi un paio di elogi al Barcellona che hanno infastidito i tifosi che ieri, in un sondaggio proposto da un sito nerazzurro, hanno addossato a lui, con quasi il 50 per cento dei giudizi, la sconfitta di Marassi.
Comunque Josè ha rimbalzato subito anche Zeman, come fece con il buon Barnetta e l’audace Lo Monaco: «Non conosco Marotta e non conosco neppure Zeman». Chi continua a venerarlo come Visnù assicura che è l’ennesimo tentativo di attirare l’attenzione su di sé, ma non per una nuova versione di edonismo mourinhano, ma per tenere sottocoperta la squadra. Una figura da martire che non gli si confà, Josè è molto più di un abile comunicatore, è un fantastico promotore di se stesso, lo dichiara, non se ne pente, trova adepti proprio per questo. Però ora riesce difficile anche ai suoi seguaci trovargli una via di fuga. Oppure la sua risposta su Zeman e Marotta, che lo aveva ripreso dopo le frasi su Del Neri, potrebbe esser qualcosa di ancora più semplice: solo un tentativo di non accendere nuove polemiche, per tagliare corto.
È una versione che ci sta, anche se ora Josè si rifiuta di motivare alla stampa alcune sue sostituzioni: «Non devo spiegarle a voi».Le avrà date al presidente, ai sostituiti, al resto della squadra. Un clima che si ricompone solo con una prova convincente a Kazan e tre punti. In fondo Josè è stato chiamato dal presidente per questo.
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