Ciak, si chiude. Il cinema senza Walter

L’ex leader del Pd ama la settima arte e molti registi, da Muccino a Bellocchio a Virzì, hanno ricambiato l’affetto. C’è chi ha fatto un film dai suoi libri e chi ha assunto la figlia come assistente di set. Ecco chi sono gli orfanelli di Uòlter

Ciak, si chiude. Il cinema senza Walter

Si chiama «I luoghi dell’anima»: è la rubrica che, cascasse il mondo o il Pd, Walter Veltroni consegna ogni mese a Ciak. Il titolo dice già molto. Lo stile pure. Sul numero di marzo esordisce così: «Ognuno ha le sue follie, le sue inspiegabili manie. Io, ad esempio, ricordo tutte le sale cinematografiche nelle quali ho visto tutti i film della mia vita». Proprio tutte? E ancora: «Il fatto è che per me, da sempre, l’emozione più grande è il cinema. Prima ancora del film». La sala, dunque, come «sacco amniotico che ti avvolge», lo schermo come magia, ombre in movimento, sogno, malìa, poesia. Il veltronismo è anche questo.

Non meraviglia che negli ultimi tre lustri, prima dirigendo l’Unità delle cassette, poi da munifico ministro ai Beni culturali, infine come sindaco di Roma, Veltroni abbia esercitato un forte potere di attrazione sui cineasti. Mica solo a sinistra. Se sfogliate il libro di Barbara Palombelli, Registi d’Italia, tutti o quasi, a un certo punto, omaggiano «Walter» come politico amico, di fiducia, l’unico col quale andare volentieri a cena. Gabriele Muccino: «Gli credo quando dice che si occuperà di Africa, dopo avere fatto bene il sindaco. È una persona che ha sentimenti nobili, ha un cuore e le persone lo hanno capito». Marco Bellocchio: «Un grande intenditore di cinema, che stimo come politico e come uomo». Carlo Vanzina: «L’unico comunista di cui mi fido e per il quale ho votato. Anche lui ci ha sempre apprezzato». Francesca Archibugi: «Per me era il capo inarrivabile della Fgci. L’ho incontrato molti anni dopo, attraverso il cinema». Si potrebbe continuare con Ferzan Ozpetek, Dario Argento, Cristina Comencini, Michele Placido, Ettore Scola, Carlo Lizzani...
Ma oggi? Torna in mente un titolone del Foglio, 9 settembre 2006: «Ecco il re del movie politics. Veltroni resuscita la Roma cinematografara e attrezza una nuova egemonia». La Festa del cinema molto voluta dal sindaco stava scaldando i motori, con rare eccezioni - Nanni Moretti, Citto Maselli, Daniele Luchetti - tutti a santificare l’ambiziosa «veltronata» da 12 milioni di euro: specie produttori e distributori. Due anni e mezzo dopo l’entusiasmo è scemato, la gioiosa macchina ha dovuto ridimensionarsi. Dove regnava Goffredo Bettini adesso siede, un po’ ammaccato, Gian Luigi Rondi; la Festa gramsciana di lotta e di governo, ricolma di sponsor e banche, è regredita a Festival più poverello, simile agli altri. Di cine-veltronismo, quel particolare mix di culto cinefilo, retorica nostalgica, business trasversale e assistenzialismo pubblico - nessuno ha più tanta voglia di parlare. L’omaggio al «politico di riferimento» resiste, ma certo le dimissioni da segretario del Pd sono state prese male: come una sconfitta, un segno dei tempi.
Proviamo a indagare. Ozpetek, che pure rappresentò «la società civile» nelle liste del Pd in appoggio a Veltroni, non è interessato al tema. Bellocchio, che trovò su l’Unità veltroniana ampio spazio per lamentarsi di un finanziamento ministeriale negato, accampa una scusa per buttare giù. Muccino spedisce un sms dal Sudafrica. Lo sceneggiatore Sandro Petraglia risponde, con una punta di insofferenza: «Orfani di Veltroni? Noi siamo orfani di legislatori capaci di occuparsi di cinema. Da ministro, in quei pochi mesi, è stato bravo, ha riconosciuto tutele che non avevamo: il diritto d’autore, i passaggi in tv. Veltroni è persona gentile, generosa, di lui penso tutto il bene possibile. Ma fatico a vederlo come il mio politico di riferimento». Sintetizzando: resta la stima, però a ciascuno il proprio lavoro.

Più loquace appare Paolo Virzì, che accompagnò Veltroni a Livorno durante la campagna elettorale, salendo sul pullman a Grosseto. «Da ministro varò provvedimenti giusti, mise mano alla legge sui finanziamenti, colmò dei vuoti legislativi. Ricordo la sua rubrica sul “Venerdì”: tendeva a dare rilievo ai film italiani, c’era un interesse da appassionato spettatore. Poi, negli ultimi tempi, la cosa gli si è rivolta contro». In che senso? «A un certo punto abbiamo preso a dirgli: “Forse, Walter, è meglio che noi registi ci teniamo alla larga da te, sennò perdi i voti”. Rimane il fatto che nel panorama dei politici è una figura unica. Ricorda facce e nomi di tutti, ha appreso bene la lezione di Jack Lang, non considera noiosa e assistita la gente dello spettacolo. Ma da qui a dire che passasse le giornate ad aiutare il cinema, ce ne corre». E quanto ai suoi famosi gusti... «Ha sempre dichiarato che il suo film preferito è L’uomo dei sogni con Kevin Costner. Io andai trepidante a vederlo e mi sembrò una bischerata». Chiedo: adesso cosa dovrebbe fare? «Non me la sento di dargli consigli. Credo sia esacerbato, magari vuole coltivare prospettive private, basta che non si allontani dal Pd. Certo, la canzonatura di certi media è stata forte, anche molto calcata, nel suo rapporto col cinema hanno voluto vedere chissà qualche convenienza».

Sentiamo allora Giovanni Veronesi, che all’epoca di Manuale d’amore 2 fu sfotticchiato da Massimo Gramellini su La Stampa per aver preso come assistente di set Martina Veltroni, figlia di Walter. «Adesso finalmente potrò dire che siamo amici e nessuno parlerà più di lobby», ironizza il regista pratese. «In ogni caso, io non mi sento orfano del Veltroni cinematografico, forse perché faccio film socialmente e politicamente non riconoscibili, senza sovvenzioni pubbliche. Le dirò di più. Abbiamo anche gusti diversi, ogni tanto avverto in lui un riflesso infantile, da eterno ragazzo. La verità? Io mi sento orfano di lui come politico. Credevo nel progetto di Pd, l’ho sostenuto. Vabbè, è andata male. Ma se Walter vuole fare lo sceneggiatore, io sono qui. Ha un posto assicurato».

Finirà così, vedrete. Dal suo libro Il disco del mondo è già stato tratto un film, Piano, solo, con Kim Rossi Stuart. Mentre la raccolta Senza Patricio ha offerto a Gianni Amelio lo spunto per scrivere una sceneggiatura, ribattezzata Amado mio; e La scoperta dell’alba sembra far gola a Domenico Procacci. Dicono che il vero sogno di Veltroni sia la regia. Magari riuscirà, ora che ha più tempo libero, a compiere il gran passo. Gli amici non mancano. Anche se il produttore Riccardo Tozzi, ribadita la personale stima all’uomo, scandisce: «La vicinanza dei politici al cinema non è di per sé una cosa buona. Possono fargli male». Poi certo, aggiunge il titolare di Cattleya nonché presidente dei produttori, «Veltroni ha varato la legge 122 sugli investimenti delle tv nel cinema, facendo crescere Medusa e Raicinema, ha liberalizzato le licenze cinematografiche, ama il cinema, ne ha conoscenza, fa commenti appropriati». Però... «Be’, il ministero ombra del Pd da lui scelto per i temi della cultura (ormai ex, Vincenzo Cerami, ndr) è stato completamente assente, latitante, in questi mesi.

Un disastro se la competenza culturale non si unisce alla competenza industriale». E quindi? «I politici si giudicano dagli atti politici. Mi interessa ciò che fanno nell’esercizio del mestiere di politici, il resto, francamente, è colore». Francamente. Colore.

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