"Napoleon" di Ridley Scott vale (anche se parziale e deludente)

L'ascesa e la caduta dell'iconico imperatore francese in un arazzo storico che immortala la sua sudditanza per Giuseppina e accenna in maniera sconclusionata a tutto il resto

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Napoleon, l’ultima fatica di Ridley Scott, è un film biografico di stampo classico, un’epopea cinematografica in stile vecchia scuola. Si tratta di un’opera che merita di essere vista per la cura scenica visivamente sbalorditiva, ma che poggia su di una sceneggiatura non all’altezza.

L’attore protagonista, poi, ovvero il premio Oscar Joaquin Phoenix, si rivela una scelta impropria sia sulla carta, avendo pressappoco l’età in cui Napoleone spirò, sia davanti alla macchina da presa.

Scott mette a segno sequenze di battaglia maestose e che impressionano per l’imponenza e la precisione: le armi, i cavalli, i cannoni e le baionette diventano strumenti di una sinfonia bruta che regala allo spettatore un’esperienza fuori dal comune, d’indiscutibile grandeur.

A deludere purtroppo in “Napoleon” è la resa della complessità del personaggio, colpita a morte anche da buchi nella trama inevitabili visto che il film dura due ore e 37 minuti, mentre vita e imprese del grande condottiero non sono riassumibili in così breve tempo se non con copiosi tagli.

Ad ogni modo, pur ridotto e snellito per la sala, “Napoleon” in versione director’s cut (ovvero di 4 ore), sarà trasmesso più avanti da Apple, che ha prodotto il colossal, sulla propria piattaforma streaming.

Il film si apre con il primo di vari falsi storici che punteggiano la narrazione: Bonaparte è un soldato ventenne che assiste alla decapitazione di Maria Antonietta. Segue poi la descrizione della voglia di sangue caratterizzante la Francia post-rivoluzionaria. Nel marasma di teste mozzate e incertezze politiche, si farà spazio un uomo, Napoleone appunto, che in realtà incarnerà le stesse logiche ereditarie e dinastiche della monarchia appena spodestata. Come a dire che il popolo ha destituito un re per poi acclamare un imperatore.

Da ribadire che molti passaggi storici importanti vengono elusi e ridotti a mera “nota a piè di pagina”. Quanto al privato di Napoleone, non va meglio; nessun accenno alla sorella Paolina, ad esempio. Tutto nel racconto di Scott ruota attorno al rapporto sentimentale agitato e incostante con Giuseppina (Vanessa Kirby), moglie fedifraga eppure donna vista come insostituibile da Bonaparte.

Il ritratto di un Napoleone incoerente, furbo e arrivista, può essere realistico, un po’ più azzardata l’allusione del film che ogni conquista di quest’individuo sia ora una rivalsa alla propria infelicità amorosa, ora uno strumento di seduzione nei confronti dell’amata.

Si esagera inoltre nel sottolineare quanto Napoleone fosse goffamente burbero solo per nascondere l’infantilismo conservato tra le pareti domestiche.

“Napoleon” decostruisce il mito napoleonico sposando una visione talmente parziale del personaggio da risultare manipolatoria; la rappresentazione storica appare sbilanciata anziché frutto di un’indagine oggettiva.

Con l’intenzione di descrivere l’essere umano dietro la leggenda, si insinua come il carisma presso il popolo di una figura dal fascino quasi dittatoriale conviva con limiti e sicurezze interiori che Napoleone mostra solo alla compagna. Attraverso le epistole tra i due non emerge solo il legame indissolubile ma la totale sottomissione di lui. Lucido e risoluto nell’arte della guerra, capace di trasmettere sacro furore nelle battaglie, Napoleone perde (piacevolmente?) nei giochi di potere all’interno della coppia.

Nel finale Bonaparte è un soggetto pericoloso che vede la propria sete di conquista diventata rozza e patetica megalomania di un individuo in disarmo.

Il pensiero di Scott sul peso storico dell’uomo è definitivamente chiaro nella frase in sovraimpressione subito prima i titoli di coda, in cui gli imputa di essersi lasciato alle spalle oltre tre milioni di vittime.

Resta il fatto che "Napoleon" regali un'esperienza

visiva insuperabile, specie sul campo di battaglia. Ridley Scott si conferma un Maestro nell’uso dell’immagine e il film, se preso come un titolo mainstream, è godibile nonostante i numerosi passi falsi.

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