Fisco, ecco le caratteristiche per definirsi residenti all’estero

Lo scambio di informazioni fiscali tra Stati facilita le indagini fiscali attuate dall’amministrazione finanziaria italiana. Ecco quali elementi vengono esaminati per stabilire la residenza fiscale di chi risiede all’estero e quali sono gli aspetti di cui tenere conto

Fisco, ecco le caratteristiche per definirsi residenti all’estero

La residenza fiscale è il primo elemento che concorre a determinare la giurisdizione dell’erario. Ogni anno le autorità competenti, ovvero l’amministrazione finanziaria italiana, svolge migliaia di indagini per verificare l’effettiva residenza di chi vive all’estero. Per essere considerati residenti all’estero, i soggetti fiscali devono rispondere a requisiti specifici la cui veridicità può essere comprovata anche grazie allo scambio automatico di informazioni, metodo a cui partecipano oltre 200 Stati che collaborano tra loro.

Le indagini fiscali sono fatte per evitare frodi ma, nella rete della autorità, possono cadere anche persone in completa buona fede che però hanno compiuto errori lungo la procedura di trasferimento all’estero.

Quando ci si può definire residenti all’estero

Per essere effettivamente residenti all’estero e quindi non dovere versare imposte al fisco italiano servono alcuni elementi, primo dei quali è l’iscrizione all’Anagrafe italiani residenti all’estero (AIRE) che, di fatto, prevede apposita domanda da inoltrare all’Ambasciata o al Consolato italiano più vicino (oppure tramite apposito portale online).

L’iscrizione all’AIRE è il primo passo per provare di essere residenti all’estero ma non è sufficiente. La Circolare ministeriale 304/97 dà infatti alle autorità amministrative poteri di indagine che vanno oltre, potendo svolgere verifiche utili a rintracciare eventuali redditi sottratti a tassazione.

Le autorità cercano quindi elementi tesi a certificare la residenza del soggetto fiscale (ossia la sua dimora abituale) ma anche il suo domicilio, ossia il luogo in cui questo svolge i propri affari e interessi.

Il principio è quello secondo il quale sono tassati all’estero i profitti generati all’estero e, parallelamente, sono tassati in Italia quelli prodotti sul territorio nazionale.

Per fare un esempio, un cittadino italiano regolarmente iscritto all’AIRE si è trasferito in Svizzera dove lavora e risiede. La sua famiglia è rimasta in Italia e vive in un appartamento il cui contratto d’affitto è intestato al cittadino medesimo, così come le utenze. Questi elementi possono indurre le autorità fiscali italiane a ritenere che il cittadino abbia domicilio in Italia (ovvero il luogo in cui questo detiene i propri interessi).

Circostanza questa che sarebbe un punto a favore dell’autorità tributaria italiana ma che, da sola, non costituirebbe prova certa, così come statuito dalla sentenza 6501/2015 della Cassazione.

Cosa controllano le autorità fiscali italiane

Con il Provvedimento 43999/2017 l’Agenzia delle entrate ha stabilito dei criteri utili all’individuazione dei contribuenti i quali, pure essendo iscritti all’AIRE, sottraggono gettito al fisco italiano. I controlli effettuati sono mirati:

  • alla verifica che non ci siano elementi per ricondurre all’Italia la residenza o il domicilio del contribuente
  • all’accertamento dell’effettiva residenza del contribuente
  • all’accertamento dell’origine territoriale dei redditi del contribuente.

L’ultimo punto, l’accertamento dell’origine territoriale dei redditi, riconduce alla regola di massima secondo la quale vanno tassati all’estero i redditi prodotti fuori dal territorio italiano e sono da tassare in Italia quelli prodotti sul territorio italiano.

Le autorità fiscali italiane vogliono essere certe che, al di là dell’avvenuta iscrizione all’AIRE, il soggetto fiscale risieda per almeno 183 giorni l’anno all’estero e che, parallelamente, abbia nel Paese estero in cui si è trasferito:

  • rapporti di tipo familiare
  • rapporti di natura professionale / patrimoniale.

Il soggetto fiscale che risponde a tali requisiti non deve presentare la dichiarazione dei redditi in Italia.

Lo scambio di informazioni diventa cruciale nel processo di verifica dell’effettiva residenza all’estero del contribuente ma, a giocare un ruolo cruciale, subentra anche il comune italiano in cui il contribuente risiedeva prima dell’espatrio. Il comune, infatti, deve vigilare per almeno tre anni affinché possa essere certo che questo abbia effettivamente lasciato il territorio.

Lo scambio di informazioni con i Paesi esteri

Per capire meglio quali informazioni vengono scambiate è opportuno comprendere quali sono gli indizi che spingono le autorità tributarie italiane a volere fare approfondimenti, tra questi spiccano:

  • la residenza del contribuente in uno degli Stati con fiscalità privilegiata (elencati nel Decreto ministeriale del 4 maggio 1999)
  • la residenza in uno dei Paesi che confinano con l’Italia
  • informazioni sui patrimoni finanziari e immobiliari detenuti all’estero
  • dati sulle utenze all’estero (elettricità, acqua, gas, telefonia)

Va specificato che i dati relativi ai patrimoni immobiliari e finanziari sono trasmesse dalle entità fiscali estere in osservanza delle direttive europee sullo scambio automatico di informazioni.

È quindi possibile evincere che le informazioni raccolte e scambiate riguardano:

  • i redditi da lavoro, ossia tutte le entrate del soggetto fiscale all’estero
  • polizze assicurative
  • pensioni
  • proprietà immobiliari e investimenti.

La collaborazione tra Stati diventa quindi cruciale per le indagini

fiscali che le autorità tributarie italiane possono svolgere con un certo grado di autonomia e profondità.

L’identificazione della residenza del contribuente ha valore anche per gli accordi sulle doppie imposizioni fiscali.

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