Il commento Il cinema riprende a pensare positivo

C’è una scena di Yes Man che racchiude il senso del film. Quando Jim Carrey, nella vuota arena da concerto, intona a squarciagola Can’t buy me love dei Beatles di fronte alla divertita Allison. Ricordate il ritornello della canzone? «I soldi non possono comprare l'amore». Già. Sarebbe un errore scambiare per buonismo zuccheroso, di maniera, pre-natalizio, il condivisibile messaggio umano che viene dalla commedia presentata ieri a Roma dall'attore canadese. D’accordo, l’involucro è da ridere, ma l’invito a dire qualche sì in più, promuovendo una piccola rivoluzione individuale contro il logorio della vita moderna (il Cynar non basta), suona sincero, interessante, pure politicamente scorretto. Berlusconi è stato irriso, a sinistra, per aver consigliato un po’ di ottimismo. Eppure Obama teorizza da mesi «yes, we can», ponendo l’accento su quel sì, e nessuno ha avuto da ridire. Anzi.
Non sarà ancora una tendenza, magari sono solo coincidenze, ma un soffio di «pensiero positivo» alla Jovanotti sembra alitare sul cinema anglofono, con effetti inattesi, rincuoranti. Il disperato ballo sul Titanic non c'entra nulla. Anche perché film come Yes Man, L'ospite inatteso, La felicità porta fortuna, Il milionario, pur nella diversità degli stili, non nascondano tensioni e orrori, crisi e nevrosi, miserie e ingiustizie. E tuttavia ci ricordano le virtù dell'homo faber, artefice - almeno un po’ - del proprio destino, anche quando «il male oscuro», la depressione, sembra avvolgerne l'esistenza in una sorta di oscurità trasparente.
Naturalmente la cura proposta da Carrey, il sì come estesa pratica affermativa in risposta a una consuetudine avversativa, neghittosa, fatta di «forse, non so, ma, vedremo», non è da prendere alla lettera, tanto più che il film ironizza anche sui manuali di «self help» e sulla credibilità di certi guru modello «libera la mente». Però questa voglia di buon umore segnalata dal cinema non andrebbe liquidata facendo spallucce, quasi fosse una rassicurante fuga dalla realtà, un bieco escamotage per vendere biglietti.

Vero, si esce dallo spassoso Yes Man sentendosi migliori, disposti a vedere il bicchiere mezzo pieno. Che c’è di male? Ma vallo a dire a tanti dei nostri registi, volentieri allergici al lieto fine e avviluppati in una tetraggine che rosicchia il loro talento. Se imparassero a pronunciare qualche sì...

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