«Sarebbe tempo che Lei parlasse anche alla nazione, non già alla nazione intesa nel senso corrente, con l'accento sul potere politico, bensì nell'alto senso spirituale cui Hofmannsthal ha dato forma». Il «Lei» al quale lo scrittore austriaco Alexander Lernet-Holenia si rivolgeva con una lettera aperta pubblicata a fine settembre del 1952 sulla Neue Zeitung era un altro autore. E che autore: Gottfried Benn, in potenza il poeta nazionale di una Germania finalmente de-nazificata (o quasi). Benn rispose glissando, dicendo che lui, in quanto artista, preferiva stare nel suo angoletto, a creare: «La platea, la collettività, la gloria, la nazione - tutto è irrilevante: in quel momento io sono immortale».
Non che Lernet-Holenia, da parte sua, fosse un maître à penser impegnato politicamente. Nelle sue opere lo scenario sociale conta sempre molto meno dello scenario interiore incarnato nei personaggi. Tuttavia c'è, e si fa sentire come un lontano rullo di tamburi. O, più da vicino, come una marcia funebre. Accade in Il conte Luna, edito da Adelphi per la prima volta in italiano (traduzione di Giovanna Agabio). Uscito nel 1955, tre anni dopo il botta e risposta con Benn, si dipana, al netto dei secolari alberi genealogici dei due antagonisti in campo, disegnati da Lernet-Holenia come l'altissima volta di una cattedrale gotica, fra gli anni '40 e l'inizio dei '50. E l'inizio (della storia) ne è anche la fine.
Siamo a Roma, anzi, sotto Roma, nel labirinto delle catacombe. Vi è finito, inseguendo una libertà che gli sta fuggendo di mano, Alexander Jessiersky, un imprenditore austriaco dalle origini poco chiare e ancor meno nobili. Come apprenderemo pagina dopo pagina, lo tormentano i fantasmi di alcuni delitti che risalgono a un peccato non direttamente imputabile a lui, ma ai suoi collaboratori: l'appropriazione indebita di un terreno a danno di un «libero docente», il conte Luna. Ergo, il conte Luna è la vittima, e rappresenta, per la coscienza di Jessiersky, ma soprattutto per quella di Lernet-Holenia, tutte le vittime sacrificate sull'altare del Terzo Reich. A dire il vero Jessiersky, infastidito, più che angustiato, dal rimorso, si è adoperato in favore del conte Luna, spedendogli beni di prima necessità nel campo di concentramento dov'era finito. Ma poi si convince che l'altro, scampato a una fine orrenda, voglia vendicarsi.
Il rovesciamento dei ruoli, con il colpevole che si ritiene perseguitato, e con il perseguitato che ai suoi occhi si trasforma in attentatore, è il passaggio decisivo. Ora Jessiersky vuole difendere sé stesso e la propria numerosa famiglia, e vede ovunque la sagoma minacciosa del conte Luna: nell'uomo che in un parco regala dolciumi (avvelenati?) a una sua figlia; nel misterioso personaggio che sente camminare in piena notte al piano superiore del suo lussuoso appartamento viennese; in un cacciatore che con il fucile in spalla va (finge di andare?) in cerca di caprioli; nel precettore dei suoi ragazzi.
Infine, è il Fato a prendere il testimone per l'ultima frazione di questa corsa delirante.
Il consigliere ministeriale incaricato delle indagini sull'ultimo delitto, collezionista (e ladro) di libri licenziosi, mette il naso nella biblioteca del principale sospettato. E rieccoci a Roma, sotto Roma, dove Il conte Luna trova il suo struggente tramonto.
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