
Si fa partire l'acquisizione della consapevolezza antifascista di Brancati dal 1934, ma almeno fino al 1937 il suo rapporto con il fascismo fu organico e congruente con il comportamento di intellettuali allineati che chiedevano e ottenevano sovvenzioni e incarichi di propaganda. Dalle carte del Minculpop si apprende, per esempio, che egli, tra il maggio e l'agosto 1933, ottenne da Mussolini due assegni bancari di 3000 lire ciascuno e che, in più occasioni, si fece raccomandare da personalità del regime, da Anfuso a Ciano a Bottai.
Nel dopoguerra, Brancati si avvicinò al liberalismo, come altri intellettuali suoi amici che avevano collaborato alle riviste di Longanesi o di Bottai. Nel 1946 pubblicò I fascisti invecchiano, un irriverente ritratto degli aspetti maggiormente risibili della dittatura. Vi sono in quelle pagine, botte di inarrivabile sarcasmo come, per esempio, la descrizione di una cena di Natale in casa di ex gerarchi dove si assiste al trionfo di un professore universitario di dottrina del fascismo, riciclatosi in tempo come docente di dottrina del lavoro, e scambiato per ciò dagli inglesi per socialista e quindi nominato rettore o dove anche si racconta la surreale vicenda della sahariana di un gerarca che, nel 1939, «zeppa di una carne che sussultava» e con il «colletto rafforzato da due fasci dorati» si agitava e gesticolava ascoltando le invettive anti-inglesi del suo proprietario, adesso, nel 1943, dopo aver ballato fra «le braccia d'un soldato canadese», «dismessi i fasci littori e le spalline, e trasformata in giubbetto per la figlia del suo primo indossatore, essa stringeva teneramente un petto agitato dai battiti d'amore, e si divertiva a confrontarli coi battiti d'odio del cuore paterno - gli uni e gli altri sempre per l'Inghilterra».
Gli sberleffi al fascismo, ma anche ai fascisti convertiti o a quelli che cercavano di celare un passato ingombrante, si ritrovano, peraltro, anche nei suoi romanzi più maturi, a cominciate da Il bell'Antonio. Dietro la posizione moralistica di Brancati espressa in una prosa sarcastica, scoppiettante, talora appesantita da un tono baroccheggiante che mette alla gogna tanto certi comportamenti risibili dei fascisti quanto quelli di taluni pavidi o impavidi antifascisti d'ogni ora, c'era la convinzione - comune a diversi intellettuali del tempo, da Ansaldo a Montanelli, da Longanesi a Malaparte - che la transizione dalla dittatura alla democrazia non potesse avvenire con una netta soluzione di continuità per cui taluni aspetti della sostanza illiberale del regime, in particolare la censura, sopravvivevano nella nuova realtà politica.
Orio Vergani scrisse che Brancati era «un ex fascista camuffato da liberale»: in realtà era un intellettuale che identificava il liberalismo con l'assenza di censura. Il suo rapporto con la censura fu sempre problematico. Alcuni suoi lavori avevano subito in epoca fascista interventi non privi di ridicolo: una commedia, Il viaggiatore dello sleeping N.7 era forse Dio?, per esempio, fu approvata a patto che in nome della purezza della lingua e del rispetto della religione, il titolo venisse modificato in Il viaggiatore della cabina letto N.7. Nel dopoguerra le cose non migliorarono: la censura colpì diversi suoi lavori e nel 1952 vietò la rappresentazione di La Governante. Per reazione a tale divieto Brancati scrisse un sulfureo pamphlet, Ritorno alla censura, dov'è adombrata la tesi che il fascismo non era finito perché ad esso era subentrata una «dittatura clericale». Esso sosteneva che «la cultura è libertà» e precisava che non ci si deve lasciar ingannare da moderni giochi di parole come «libertà dal bisogno, libertà dalla paura, libertà dalla guerra» e via dicendo nei quali il termine «libertà» viene utilizzato con «la falsa eleganza delle epoche volutamente confuse». L'odio per la cultura in Italia era testimoniato dall'esistenza di un ufficio apposito, chiamato «con ironia involontaria» ai tempi del fascismo Ministero per la cultura popolare e denominato ora, nell'Italia postfascista, Sottosegretariato per lo spettacolo e le informazioni. Alla dittatura del fascismo, insomma, era subentrata la dittatura clericale. E il clericalismo ormai dilagante stava facendo risorgere l'anacronistico anticlericalismo storico.
Questa particolare concezione del liberalismo, che identifica la libertà con la libertà d'espressione e l'assenza di censura, era funzionale alle idee antitotalitarie da Brancati espresse nel saggio Le due dittature. Si tratta del testo di un intervento pronunciato a Parigi in occasione di uno degli incontri organizzati dal Congresso Internazionale per la Libertà della Cultura, una struttura promossa col sostegno anche finanziario della Cia per il coordinamento degli intellettuali, prevalentemente liberal-democratici o ex comunisti o socialisti riformisti, di vari paesi, quasi una Nato della cultura, per opporsi nel pieno della guerra fredda all'avanzata del comunismo attraverso una serie di iniziative che andavano dalla organizzazione di congressi e conferenze internazionali al sostegno di riviste culturali e politiche importanti. L'intervento di Brancati fu pubblicato inizialmente come quaderno della Associazione Italiana per la libertà della cultura, istituita da Ignazio Silone nell'ultimo scorcio del 1951, affiliata ovviamente al Congresso Internazionale per la Libertà della Cultura, e «centro di una federazione di circa cento gruppi culturali indipendenti, ai quali forniva conferenzieri, libri, libelli, film e uno spirito cosmopolita».
Brancati vi condannava il totalitarismo di destra e di sinistra e lo faceva illustrando la fenomenologia della genesi della dittatura con una spiegazione, in termini anche psicologici e sociologici, dei meccanismi attraverso i quali l'individuo finisce per cedere di fronte alla tentazione totalitaria che ne annulla la personalità attraverso una illusoria identificazione con la massa: «ogni persona s'inebria dell'altra. Il numero di coloro che fanno lo stesso gesto che faccio io, che dicono il sì o il no che dico io, tanto più è alto e tanto più mi dà alla testa».
Quando Brancati scriveva queste cose la letteratura sul totalitarismo era agli inizi. (...
) Eppure le sue considerazioni sulla perdita di individualità in una società massificata sembrano anticipare quelle della Arendt sulla atomizzazione sociale e sulla alienazione come prerequisiti per l'instaurazione di un governo totalitario. Per quanto sintetico, lo scritto di Brancati costituisce un contributo originale per comprendere, e quindi anche esorcizzare, il totalitarismo di destra e di sinistra, le due «dittature», appunto.
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