Contro la filosofia dei pareri (urlati)

Oggi sono tutti opinionisti con le idee degli altri. Ma il saper pensare è merce rara

Contro la filosofia dei pareri (urlati)
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Il titolo è ambizioso, ma il contenuto mantiene quanto promesso: L'essenziale (Castelvecchi, pagg. 96, euro 13,50) è un saggio scritto da Silvano Petrosino e Roberto Righetto che tratta, come spiegato dal sottotitolo, della «Globalizzazione della chiacchiera e resistenza della cultura». Un professore di Filosofia teoretica e un giornalista che ha diretto per vent'anni le pagine culturali del quotidiano Avvenire dialogano su ciò che conta veramente, in un mondo avvelenato dalla dittatura del politicamente corretto e dominato dall'apparenza e dalla superficialità.

Il dialogo parte da una considerazione quasi banale, e cioè che, grazie alla rivoluzione tecnologica e al conseguente diffondersi dei personal computer, il dilagare incontrollato su Internet di ogni genere di informazioni ha annacquato il sapere, rendendo quasi impossibile ogni reale approfondimento critico. Detto più semplicemente: la profusione di informazioni proveniente dalla Rete, a cui tutti attingiamo indiscriminatamente, invece di essere utile ci rende molto più ignoranti e, soprattutto, sempre più presuntuosi, perché ci convinciamo di sapere tutto, o di poterlo fare senza difficoltà. Certo, questa osservazione non è affatto una novità: già Heidegger, avvertono gli autori nell'Introduzione, aveva messo in guardia dalla «diffusione della chiacchiera, che allontana dalla vera comprensione, spingendo il soggetto verso la tranquillizzante presunzione di possedere e raggiungere tutto». Il problema, però, è che dalla chiacchiera da bar, condivisa tra amici ed estesa, nella peggiore delle ipotesi, alla cerchia dei conoscenti, siamo passati alla diffusione incontrollata di un oceano di notizie e informazioni che, trasmettendo un fasullo senso di onniscienza, precludono l'accesso al sapere vero.

Gli autori non perdono occasione per ribadire la differenza tra un parere e un pensiero: per il primo basta attingere alla pletora di uomini marketing e di opinionisti che affollano ogni mezzo di comunicazione, garantendo, con i loro rassicuranti sorrisi, che con un semplice click la verità è alla portata di tutti. Il sapere, invece, è frutto di una faticosa elaborazione personale, lontana dall'incontenibile entusiasmo dei sedicenti esperti, finalizzato a non sollevare mai alcun dubbio.

La tranquillizzante presunzione di chi confonde un parere con il pensiero è il marchio di fabbrica di tutti coloro che vogliono sembrare degli intellettuali e, non essendolo, giocano a fare i filosofi. «Oggi - lamenta Righetto - siamo passati da Bobbio a Odifreddi, Pievani o Galimberti (e Scalfari, aggiunge Petrosino). O a giornalisti che si ergono a maîtres-à-penser come Augias, Gruber, Bignardi e De Gregorio, che esprimono un livello davvero basso della provocazione senza nessun contenuto vero e profondo». Insomma, il «tradimento dei chierici» denunciato un secolo fa da Julien Benda è ancora tale, ma ha prodotto conseguenze molto più gravi visto che, se il 70 per cento degli italiani è composto da analfabeti funzionali - cioè sono incapaci di comprendere e di valutare un testo scritto - è altrettanto scioccante che il 38 per cento di imprenditori, dirigenti e liberi professionisti dichiari di non leggere nemmeno un libro l'anno, percentuale che scende al 25 tra i laureati. Comunque, il problema non si risolverebbe se i lettori aumentassero di numero: come suggerisce Petrosino, infatti, bisogna «evitare ogni idolatria del libro (così frequente all'interno della tribù di coloro che, godendoci, non esitano un istante a confessare di spendere tutti i propri risparmi per acquistare libri), e bisogna ribadire con forza che per ragionare e riflettere ci vuole tempo». Inutile, dunque, spargere lacrime per i «bei tempi andati» o illudersi che sia possibile tornare a un mondo prima di Internet, perché la rivoluzione digitale è irreversibile.

Bando alle nostalgie e avanti con l'approfondimento: bisogna recuperare la capacità di ragionare, si devono sollevare dubbi, attivare il cervello e ridimensionare il dominio del pensiero scientifico-tecnologico a discapito di quello umanistico-letterario. «Mettiamo da parte scientisti e nichilisti per riscoprire poeti e profeti», suggeriscono gli autori, il che non significa rifiutare la scienza, anzi: va ricordato, infatti, che il pensiero scientifico nasce proprio da una riflessione e da un'analisi della realtà, e non va confuso con il dominio della tecnologia, oggi inestricabilmente associata al consumismo e ai suoi (non) valori assolutamente dominanti, sintetizzabili nella triade «tutto-subito-sempre».

Usciamo dal torpore, scuotiamoci dalla pigrizia, leggiamo, o rileggiamo, la letteratura di tutto il mondo, riprendiamo lo studio della filosofia e soprattutto ricordiamoci sempre, come sosteneva un grande poeta americano, che «sono autorizzati a esprimere un'opinione soltanto coloro che sono titolati ad averla».

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