Il rapporto tra cristianesimo-cattolico ed islam, come tante altre questioni aperte che riguardano il nostro tempo, è un tema che accompagna da anni la storia del dialogo interreligioso. I tentativi di costruire "ponti" tra le due confessioni sono all'ordine del giorno. In specie per via della svolta impressa dal pontificato di Francesco. La posizione in materia di Giovanni Paolo II, ora Santo, tende ad essere omologata a quella dei pontefici che gli sono succeduti in linea temporale. Ma è davvero così? Esiste una continuità assoluta tra quello che la Chiesa cattolica sostiene oggi e quello che invece la Ecclesia ha predicato durante il regno del papa polacco? A leggere le analisi di questi giorni - quelle pubblicate per via del centenario della nascita del pontefice polacco - sembrerebbe proprio di sì. Gli ecclesiastici di vertice pensano che i papi, e i consacrati in genere, non vadano "arruolati" in questa o in quella parte politica. La Chiesa non ragiona come un partito, e ci tiene a sottolinearlo spesso. Diviene dunque consueto leggere parole come quelle che il cardinal Camillo Ruini , un porporato che è stato incaricato in ruoli chiave durante i due pontificati precedenti a questo, ha rilasciato a La Stampa: "Cari sovranisti - titola virgolettando il quotidiano torinese - non arruolate Wojtyla". Ruini, che è l'autore di quella indicazione, non intende assecondare processi narrativi mediante cui le parole dei pontefici vengono sottoposte a strumentalizzazioni ideologiche. Vale più o meno per tutti i prelati. Se non altro perché la politicizzazione delle istanze papali è una prassi che gli emisferi cattolici rifiutano da sempre. Vale però a questo punto la pena chiedersi come mai le parole di San Giovanni Paolo II sull'islam vengano considerate ancora attuali. Anche da parte di alcuni politici che utilizzano le prese di posizione di Wojtyla quando vogliono promuovere un certo modo di concepire il mondo.
Da un punto di vista storico, il pontificato di Giovanni Paolo II non può essere definito in modo esaustivo senza considerare la portata delle azioni politiche dell'ex arcivescovo di Cracovia. L'abbattimento del comunismo ateista - com'è noto ai più - è di certo stato un obiettivo - peraltro perseguito, assecondato e raggiunto - dell'uomo nato nella Polonia meridionale il 18 maggio di cento anni fa. Sul fatto che il pontificato di Wojtyla sia stato anche se non soprattutto un "pontificato politico" è inutile porre dubbi: è un assunto che viene riconosciuto in larga parte. Certo, non si può ridurre la parabola di Wojtyla alla battaglia per la liberazione della Polonia dal giogo comunista, ma sarebbe altrettanto fuorviante parlare del pontefice polacco senza tenere in considerazione la priorità attribuita da Giovanni Paolo II a quella necessità geopolitica, democratica e morale: la libertà dei polacchi, appunto. Ma è tutto qui? La visione del mondo di Giovanni Paolo II, in campo politico, si è limitata soltanto ad una serrata lotta contro l'ideologia rossa, dunque contro la teologia della liberazione e le altre sfaccettature derivate dal socialismo reale? Ovviamente la risposta è no. In questa settimana in cui le cronache si sono interessate molto del caso della giovane Silvia Romano, che si è convertita all'islam dopo mesi di costrizione alla prigionia predisposta da parte jihadisti somali, sono apparse, anzi riapparse, numerose riflessioni sui pensieri che Karol Wojtyla ha riservato all'avanzata della religione musulmana in Occidente.
Affrontando alcuni aspetti della vicenda della giovane, abbiamo intervistato l'imam Yahya Pallavicini, che sull'argomento "conversione degli occidentali all'islam" per via del "vuoto di senso" ha detto parole precise: "(Il vuoto di senso, ndr) può facilitare le conversioni a prescindere dalla forma della religione incontrata. La cosa importante per me è che sia una conversione alla religione ed alla ricerca della verità. Poi, questa religione può essere l'islam, la religione di nascita o ancora un'altra situazione. Ma io resto convinto che la fede, con la ragione, dà il senso alla vita, fornendo prospettive di metodo per trovare delle risposte e trovare il un modo di vivere attraverso delle coordinate serie e profonde...". Abbiamo posto quel quesito perché il numero delle persone residenti in Occidente che scelgono di convertirsi all'islam risulta in aumento. Sullo sfondo, ma neppure troppo, risiede anche il fenomeno della "ricerca della tradizione che noi abbiamo abbandonato". Se non bastassero queste brevi considerazioni per segnalare la crescita della religione musulmana in Europa, potrebbero allora essere citate le cife che evidenziano come l'islam sia destinata a divenire la confessione religiosa maggiormente praticata nel Vecchio continente entro il 2050. Questo, almeno, raccontano le statistiche previsionali. Arrivati a questo punto della ricostruzione, e facendo leva sull'ipotesi che il rapporto tra cattolicesimo e islam faccia ormai parte del paniere delle grandi domande che ci porteremo dietro nel futuro prossimo, conviene chiedersi se San Giovanni Paolo II abbia lasciato qualche traccia precisa ed inappellabile del suo modo di leggere la situazione e della sua concezione del futuro del dialogo interreligioso.
L'islamismo, "piaga mortale"
Ormai è chiaro che i tempi sono cambiati. Così come che alcune delle frasi scelte o ascoltate all'epoca del pontificato di Wojtyla possano per qualcuno apparire persino opinabili in una fase endemicamente attraversata dal buonismo come quella odierna. Eppure, quando si ricerca all'interno dell'archivio degli aforismi di San Giovanni Paolo II, ci si imbatte con una certa continuità in rielaborazioni o ripresentazioni di questa frase: "Vedo la Chiesa del terzo millennio afflitta da una piaga mortale, si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa. Ho visto le orde provenire dall’Occidente all’Oriente: dal Marocco alla Libia, dall’Egitto fino ai paesi orientali". Si tratta di un contenuto di una visione - il pontefice polacco è stato un mistico - che è stata testimoniata da monsignor Mauro Longhi così come spiegato su La Voce del Trentino. Karol Wojtyla, stando alla ricostruzione, avrebbe avuto questa visione in una montagna abruzzese, uno dei tanti luoghi frequentanti dal vescovo di Roma, che amava la montagna, le escursioni e l'alpinismo. Pare che monsignor Longhi fosse l'unica persona presente quando Giovanni Paolo II ha rivelato cosa avesse visto. E questo è un elemento che fornisce un assist facile da sfruttare a chi può pensare che quell'enunciato non sia mai stato esposto. Ma Longhi è un consacrato. E dubitare della narrazione di un consacrato è un esercizio difficile anche per gli emisferi più progressisti della Chiesa cattolica contemporanea. Possibile dunque che Giovanni Paolo II avesse timore, pure per quelli che sarebbero avvertimenti ricevuti dall'Alto, dell'avanzata dell'islam, e soprattutto dell'islmam estremo, in Occidente? Per completezza d'informazione, è giusto rimarcare come altre fonti - quali La Stampa - facciano presente come la visione di Giovanni Paolo II fosse condita da altre proposizioni: "Invaderanno l’Europa, l’Europa sarà una cantina, vecchi cimeli, penombra, ragnatele. Ricordi di famiglia. Voi, Chiesa del terzo millennio, dovrete contenere l’invasione. Ma non con le armi, le armi non basteranno, con la vostra fede vissuta con integrità". Ai cattolici - com'è ovvio - non viene chiesto di combattere. Ma di essere esempio. Questa presa di posizione è collocabile all'inizio degli anni 90'.
Gli scritti sull'islam di San Giovanni Paolo II
Karol Wojtyla non ha solo parlato: ha anche scritto parecchio. Alcuni degli scritti decisivi, soprattutto quelli dottrinali, hanno fatto tesoro del contributo intellettuale del prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, che poi sarebbe stato eletto pontefice, scegliendo di chiamarsi Benedetto XVI. Di quello che pensa Benedetto XVI dell'islam si è lungamente discusso anche animatamente. Il pensiero di Giovanni Paolo II, invece, è meno indagato. Forse perché più datato rispetto a quello del teologo bavarese. Un'edizione recente de La Verità ha ricordato come un libro intervista del giornalista Vittorio Messori, il primo libro-intervista con la partecipazione di un Papa, nasconda, per così dire, al suo interno più di qualche asserzione capace di chiarire quale fosse il rapporto tra cristianesimo-cattolico ed islam che Karol Woytjla ha perseguito nel corso del suo lungo mandato sul soglio di Pietro. L'opera libraria si intitola "Varcare la soglia della speranza". Un testo che per i cattolici contemporanei possiede ancora un valore difficilmente descrivibile. Il primo elemento che bisogna annotare è quello gerarchico: sembra proprio che Wojtyla non fosse convinto che tutte le religioni potessero dirsi eguali. Questa della mancata possibilità dell'associazione gerarchica tra cristianesimo ed altre confessioni è una delle rivendicazioni dottrinali che i tradizionalisti usano ventilare in relazione a quelli che vengono chiamati "attacchi" a Papa Francesco. Il fatto che nella storica dichiarazione sottoscritta da Bergoglio e dall'imam di Al-Azhar faccia capolino l'espressione "diversità delle religioni" non è stata digerita dal vescovo Athanasius Schneider, che ha persino domandato una rettifica del documento solenne. Il ragionamento di Schneider è più o meno questo: prendendo per buona la "diversità delle religioni", si deve quindi asserire che è stato Dio a volerle diverse. Ma questo potrebbe contraddire il primato gerarchico del cristianesimo. Da qui, la critica è di banale deduzione. Primato gerarchico che Giovanni Paolo II, nel citato libro a firma di Messori, ribadisce quando risponde che: "Chiunque, conoscendo l' Antico e il Nuovo Testamento, legga il Corano, vede con chiarezza il processo di riduzione della Divina Rivelazione che in esso s' è compiuto. Tutta questa ricchezza dell' autorivelazione di Dio, che costituisce il patrimonio dell' Antico e del Nuovo Testamento, nell' islamismo è stata di fatto accantonata". Sembra quasi di leggere un preambolo di quello che poi sarebbe stato il "discorso di Ratisbona" di papa Benedetto XVI. Ma questa, per quanto culturalmente confinante, è un'altra storia. Proseguendo nella lettura dei passaggi ripercorsi pure dal quotidiano nominato, si incontra anche questo che sembra un solco invalicabile tra cristianesimo-cattolico ed islam: "Al Dio del Corano vengono dati nomi tra i più belli conosciuti dal linguaggio umano, ma in definitiva è un Dio al di fuori del mondo, un Dio che è soltanto Maestà, mai Emmanuele, Dio-con-noi". Tutte dissertazioni che oggi, con buone probabilità, verrebbero bollate alla stregua di slogan non in linea con la cultura dominante della reciprocità e della comunanza a tutti i costi. Messa così potrebbe sembrare che l'ex arcivescovo di Cracovia si sia opposto a qualunque tentativo dialettico che coinvolgesse il mondo islamico: è vero l'esatto contrario. Una delle aperture conclamate all'islam è incardinata nella storica visita in Marocco. In quella occasione, Giovanni Paolo II si è rivolto così agli 80mila giovani musulmani assembrati a Casablanca: "Cristiani e musulmani, abbiamo molte cose in comune, come credenti e come uomini. Viviamo nello stesso mondo, solcato da numerosi segni di speranza, ma anche da molteplici segni di angoscia. Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione". In conclusione, si può asserire che Karol Wojtyla non abbia affatto rinunciato alla costruzione di ponti con il mondo islamico. Ma è opportuno anche osservare come il papa polacco abbia abbracciato tesi finalizzate ad avvalorare il primato gerarchico del cristianesimo sulle altre confessioni religiose, compresa quella islamica.
La Moschea di Roma e la tutela della libertà religiosa
Di recente il papa emerito Benedetto XVI ha scritto una lettera sulla figura di San Giovanni Paolo II. L'uomo cui Ratzinger ha proposto più volte un disimpegno dagli incarichi in Vaticano, senza mai ottenere tuttavia un allontanamento dalla Santa Sede. Tant'è che poi Ratzinger, che non è affatto tornato in Germania come avrebbe desiderato, è stato eletto papa. E Benedetto XVI, nella missiva per il centenario dalla nascita del predecessore, associa l'operato del papa polacco ad una delle parole, nel senso cattolico di pietre, più ripetute in questi sei anni e mezzo di pontificato di Francesco: la "misericordia". Anche Ratzinger, insomma, è un teorico della "continuità" tra i pontefici. Per quanto non tutti i "ratzingeriani" siano d'accordo con questa interpretazione. Misericordiosa è stata la decisione di perdonare Mehmet Ali Ağca, l'uomo che ha attentato alla vita del vescovo di Roma, nel lontano 13 maggio del 1981. Quell'episodio, con tanto di perdono, racconta molto della disponibilità al dialogo ed al confronto di Wojtyla. Ma nella storia di pontefice del consacrato che, affacciandosi su piazza San Pietro, ha cortesemente invitato i fedeli alla correzione in caso di svarioni lessicali, c'è un altro episodio che può incidere nella narrativa complessiva, che è costellata da tratti salienti indimenticati ed indimenticabili a prescindere dalla propria dimensione spirituale. Come ripercorso su IlTempo nel 2015, l' evento dell' inaugurazione della Moschea di Roma, ha consentito a Giovanni Paolo II di battere i pugni sulla libertà religiosa: "Si inaugura oggi a Roma una grande moschea". Questo il principio dell'intervento. E fin qui, una semplice constatazione. Poi la rivendicazione sulla natura universale di Roma: "Tale avvenimento costituisce un segno eloquente della libertà religiosa qui riconosciuta ad ogni credente. Ed è significativo che a Roma, centro della cristianità, sede del successore di Pietro, i musulmani abbiano un loro proprio luogo di culto nel pieno rispetto della loro libertà di coscienza". Alle premesse, però, segue un inciso: In una circostanza significativa come questa si deve rilevare purtroppo come in alcuni paesi islamici manchino altrettanti segni di riconoscimento della libertà religiosa. Eppure il mondo, alle soglie del terzo millennio, attende questi segni". I cristiani che vivono nelle nazioni a maggioranza musulmana avrebbero, insomma, il diritto di poter edificare, dunque accedere, a luoghi di culto propri della cristianità. Wojtyla ha insistito: "La libertà religiosa è entrata ormai a far parte di numerosi documenti internazionali e rappresenta uno dei pilastri della civiltà contemporanea. Nell’essere lieto che i musulmani possano riunirsi in preghiera nella nuova moschea di Roma, auspico vivamente che ai cristiani e a tutti i credenti sia riconosciuto in ogni angolo della terra il diritto ad esprimere liberamente la propria fede. Per questo prego il Signore ed invoco l’intercessione di Maria, madre sua sempre vergine, onorata anche dai fedeli dell’Islam".
In questa formulazione, dimora forse la sintesi delle modalità mediante cui Giovanni Paolo II ha inteso alimentare il dialogo con il mondo islamico: misericordia, confronto, distacco dal contrasto ma anche fermezza.
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