"Così insegno ai satelliti a conquistare lo spazio"

Lo scienziato dell'Esa ha trascorso 40 anni al centro di controllo: "Un po' come nel film Apollo 13..."

"Così insegno ai satelliti a conquistare lo spazio"

«L o spazio non è il nostro mondo. È un mondo ostile, dove tutto sembra fatto, invece che per ospitarci, per distruggerci». È di questo mondo che Paolo Ferri, fisico, si occupa da una vita: per quasi quarant'anni ha lavorato al centro di controllo dell'Agenzia spaziale europea a Darmstadt, in Germania, dove è stato a capo del dipartimento operazioni spaziali e responsabile di numerose missioni, su tutte la celebre Rosetta, oltre a Mars Express, ExoMars, Venus Express, Cluster. Ora, nel suo Volare oltre il cielo (Raffaello Cortina Editore, pagg. 270, euro 23; in libreria dal 24 gennaio) racconta «i segreti dell'esplorazione spaziale», ovvero gli innumerevoli tentativi, a volte fallimentari e a volte trionfali, di inoltrarsi nello spazio, per scoprirlo, conoscerlo e perfino conquistarlo, e che ormai sono al centro del dibattito (geo)politico.

Paolo Ferri, lo spazio è un ambiente così ostile?

«Lo è, sia per gli esseri umani, sia per le macchine. Gli umani non sono fatti per vivere lì, e quindi per mandarceli dobbiamo inventare degli accorgimenti complessi. I materiali che utilizziamo per le macchine non sono adatti a resistere in quell'ambiente: le colle si seccano, i liquidi evaporano. Poi ci sono le radiazioni, da cui dobbiamo proteggere i sistemi elettronici, altrimenti si rovinano o si distruggono. Insomma vanno progettati sistemi per sopravvivere nello spazio. E abbiamo impiegato decenni per farlo: negli anni '50 e '60 i satelliti si rompevano subito e le missioni sopravvivevano poche ore... Abbiamo imparato attraverso i guasti».

Quanto ci è voluto?

«Quando ho cominciato, all'inizio degli anni '80, era normale che un satellite dopo pochi giorni fosse già guasto; ma i satelliti lanciati alla fine degli anni '90 funzionano ancora oggi».

L'Italia ha appena effettuato due lanci proprio in questi giorni: un satellite e un ricevitore satellitare.

«Il Lugre, il ricevitore satellitare, lanciato verso la Luna, è un esperimento, che serve per verificare se possiamo usare il sistema di navigazione satellitare - quello che utilizziamo anche noi sulla Terra - fino alla Luna».

L'altro?

«È un microsatellite, che appartiene alla Costellazione Iride: una pietra miliare, perché è il primo di questa Costellazione, tutta italiana, il cui scopo è l'osservazione della Terra».

Con quali obiettivi?

«Principalmente orientati verso i servizi: per esempio per la protezione civile, per fornire immagini dettagliate delle zone colpite da catastrofi; per pianificare l'utilizzo delle risorse, come quelle dell'agricoltura; per monitorare l'inquinamento e il Mediterraneo».

Il satellite è stato lanciato dal Falcon 9 di Space X da Vandenberg, in California. Anche lei ha assistito a un lancio da quella base: che cosa ci può raccontare?

«Negli ultimi dieci anni, Space X ha un po' rivoluzionato il modo di lanciare i satelliti, perché ha creato un tipo di lanciatore a due stadi, di cui il primo può rientrare e essere riutilizzato, così il costo dei lanci è notevolmente ridotto. Su dieci motori, che sono la parte più costosa, ne recuperano nove e li riutilizzano oltre venti volte. E funzionano».

Perciò «lanciano» tanto?

«Con il Falcon 9 fanno oltre cento lanci l'anno, e ora stanno cercando di costruire questo razzo ancora più grande... Poi, se i satelliti sono piccoli, come quello italiano, il Falcon 9 ne porta molti insieme, anche un centinaio e, una volta in orbita, inizia a spargerli: un po' come un camioncino delle consegne, che gira e lascia il satellite sull'orbita necessaria. Anche il nostro Vega è in grado di fare questa distribuzione, ma il Falcon 9 è più economico e grande e ormai domina il mercato».

Però i satelliti servono anche per internet, come ci ricordano i dibattiti sulla rete Starlink?

«Sì, Space X ha creato una sua rete di satelliti in orbita bassa: si tratta di migliaia di satelliti che volano velocissimi, per garantire una copertura continua delle rete internet, anche per mobile. L'obiettivo di queste reti è di dare una copertura a tutto il pianeta: un'idea vincente, infatti altre aziende, anche europee, vogliono fare altrettanto. Speriamo non ci siano problemi di traffico di satelliti...».

E invece le missioni verso lo «spazio profondo»?

«L'Esa ha due satelliti intorno a Marte, uno in viaggio verso Giove e uno verso Mercurio, uno intorno al Sole e sta preparando una nuova missione verso Venere. I cinesi cominciano a lanciare le loro missioni. L'esplorazione va avanti, anche se non finisce spesso in prima pagina, perché ci vogliono anni per raggiungere gli obiettivi».

E la Luna e Marte?

«Se ne parla perché, dopo molti anni, anche per ragioni di rivalità e di prestigio, Stati Uniti e Cina ragionano di programmi concreti per spedire esseri umani sulla Luna. Quanto a Marte, già nell'85 si diceva che ci saremmo andati a breve... Ma è più complicato e rischioso, e non serve a nessuno. Il problema non è mandare gli umani su Marte: è riportarli a casa sani e salvi».

Che cosa significa lavorare al centro di controllo dell'Esa?

«Apollo 13 è il film che mostra meglio il nostro lavoro. Durante il volo si pilotano i satelliti: bisogna guidarli nella direzione giusta e far fare loro le cose, telecomandandoli da Terra. E poi ogni giorno prepariamo le istruzioni da inviare ai satelliti».

Vanno seguiti sempre?

«Molti immaginano che i satelliti lavorino da soli, ma non è così. Anche solo per far scattare una foto al satellite bisogna dargli decine e decine di istruzioni, giorni prima dello scatto: perciò noi, da Terra, mandiamo migliaia di comandi a ogni satellite, ogni giorno, e ogni comando va programmato e costruito».

L'emergenza peggiore in cui si è trovato?

«Ne ho viste di tutti i colori... Ma le peggiori, per noi, sono quelle in cui rischiamo di perdere il controllo del satellite, per esempio quando perdiamo il segnale radio: è un incubo, perché non sappiamo nulla e non possiamo fare nulla. Poi, per vent'anni, sono stato responsabile di Rosetta, l'unica missione atterrata su una cometa».

Una bella responsabilità.

«Sono missioni uniche: magari la successiva può capitare trent'anni dopo... Perciò, se manchi l'istante decisivo, rischi di perdere l'obiettivo: non ci dormivo la notte».

Chi è più avanti oggi nella sfida spaziale?

«In generale, le attività spaziali sono ancora prevalentemente gestite e soprattutto finanziate dai governi. Anche molte delle attività commerciali della new space economy ricevono ancora molti finanziamenti pubblici. Quanto alla competizione, i Paesi occidentali sono da sempre avanti in quasi tutti i settori: su tutti gli Usa, ma l'Europa primeggia in alcuni ambiti, come l'osservazione della Terra».

E la Cina?

«È il fenomeno attuale in grande crescita. La Cina investe molto meno degli Usa ma sta ottenendo successi straordinari in molti ambiti, come le telecomunicazioni, le costellazioni, la Luna e Marte: sta sorpassando gli Usa praticamente in tutti i settori principali».

Teme di più le mire politiche o quelle commerciali?

«Il problema è che i militari si sono accorti che lo spazio è utile e importante, dopo anni in cui lo avevano lasciato in secondo piano. Chi ha mire commerciali è anche interessato a difendere lo spazio, ma i militari sono meno delicati.

Però, come con il rischio di guerra nucleare, se distruggi i satelliti altrui, i detriti distruggono i tuoi; e se si crea una nube di detriti intorno alla Terra, addio cellulari, internet, sistemi finanziari... Non sarebbe facile ripristinare tutto in fretta. Una guerra nello spazio ci butterebbe indietro di cinquant'anni».

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