L'incrocio del centenario della marcia su Roma con la presenza di una destra che non fa mistero di sentirsi erede di una tradizione politica risalente al ventennio poteva far temere fuoco e fiamme su media e, ancor più, incrocio di spade tra maggioranza e opposizione. Invece, non è avvenuto nulla di tutto questo.
Nessuna velenosa polemica In omaggio al vezzo/vizio italico di servirsi degli anniversari per fare un uso politico della storia. Nemmeno in campo storiografico sono scoccate scintille. Purtroppo, non è stata nemmeno colta l'occasione per sfornare studi innovativi sia per le nuove fonti esplorate che per una lettura inedita offerta dell'evento che ha segnato la storia del Novecento, e non solo di quello italiano. È prevalso l'interesse degli editori a immettere sul mercato letture improntate alla divulgazione, possibilmente avvincenti e sempre ben scritte e ricche di annotazioni e risvolti intriganti, di preferenza affidate a firme di larga notorietà.
Si distingue da questa produzione editoriale lo studio di Didier Musiedlak, La marcia su Roma. Tra storia e mito, Rubbettino editore, (traduzione dell'originale La marche sur Rome, entre histoire et myte, Sorbonne Université Presse, 2023 ). L'opera sarebbe già meritevole di attenzione perché dovuta ad uno studioso francese, ben conoscitore delle cose italiane, ma che delle cose italiane ci può offrire uno sguardo dall'esterno, magari non contaminato dalle passioni civili nostrane.
È entrando nel merito del lavoro condotto dallo storico francese che si coglie, però, la vera originalità dello studio. Non è un'opera dì divulgazione storica.
Si tratta bensì di una ricerca che si avvale di carte in gran parte inedite, relative a due personaggi, i quadrunviri Emilio De Bono e Cesare Maria De Vecchi, che della marcia su Roma nonché più in generale del fascismo, possono parlare a ragion veduta. Nuovo e anche l'impianto dell'opera. C'è una parte dedicata alla ricostruzione del contesto storico, con un focus specifico sulla crisi del sistema liberale senza la cui comprensione riesce difficilmente intellegibile la conquista del potere da parte di Mussolini. C'è insieme una seconda parte della memoria elaborata dal fascismo della marcia su Roma. Il richiamo agli antefatti della marcia su Roma non serve solo a Musiedlak per contestualizzare l'evento. È la premessa per argomentare l'uso politico che il regime ne ha fatto. È risaputo infatti che Mussolini fece della marcia su Roma il mito identitario del regime poi costruito. Addirittura, la data dopo la quale l'Italia avrebbe dovuto conoscere un nuovo inizio. 28 ottobre 1922: comincia l'Era fascista. Non più il calendario gregoriano, ma il calendario fascista, come a voler significare che il duce fosse il Redentore dell'Italia, profeta di una nuova religione (politica, ovviamente).
Musiedlak ne falsifica il presupposto. La marcia su Roma non ebbe niente di eccezionale, niente di paragonabile alla presa della Bastiglia o all'assalto del palazzo d'inverno. Non fu - per dirla con lo storico Pietre Nora - un «avvenimento monstre», un evento che cambia il corso della storia. Né prima né dopo ci fu una rivolta, un'insurrezione di massa, una sollevazione popolare. Non fu nemmeno, in senso proprio, un colpo di stato. Fu solo l'irruzione nella capitale di un manipolo di camicie nere, peraltro male armate, malissimo conciate, per di più intirizzite dalla pioggia, dalla fame e dal freddo.
Fu la sfida politica lanciata ad uno Stato liberale in crisi sulla base di un piano nemmeno ben architettato, un piano talmente azzardato che Mussolini si guardò bene dal parteciparvi. Preferì restare a Milano, pronto a rifugiarsi in Svizzera nel caso l'operazione non riuscita. Più che una conquista del potere da parte del fascismo, fu una resa dello Stato liberale.
Mussolini seppe solo approfittare della crisi istituzionale e politica in cui era sprofondata l'Italia postrisorgimentale, con le forze politiche, tutte, che non seppero, non vollero, non furono capaci di salvare la democrazia, certo ancora asfittica, claudicante, immatura ma pur sempre una democrazia, che il fascismo voleva cancellare.
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